Sinai, sulla pelle dei palestinesi

by Editore | 11 Agosto 2012 14:44

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«Fratello Morsy» però non ha risposto, o meglio ha risposto in minima parte, permettendo la riapertura per due giorni del valico, ieri ed oggi, e solo per quei palestinesi bloccati in territorio egiziano e che rientrano a casa. L’unica porta sul mondo di Gaza è sbarrata: non si esce, con grave danno per ammalati bisognosi di cure urgenti, uomini d’affari, studenti. Morsy in realtà  si era opposto alla linea del pugno di ferro contro Gaza decisa dai militari dopo la strage, domenica scorsa, di 16 guardie di frontiera da parte di miliziani jihadisti (che poi hanno effettuato una breve incursione con un blindato in territorio israeliano). Ma Hussein Tantawi, capo del Consiglio delle Forze Armate, ha imposto la linea della massima fermezza anche verso i palestinesi, che considera fiancheggiatori dei miliziani nel Sinai. Morsy, un leader dei Fratelli musulmani, ha perduto subito il braccio di ferro con Tantawi, confermando i limiti dei suoi poteri di presidente costretto ad una difficile convivenza con i vertici militari. I generali gli hanno fatto capire che sono stati loro ad ereditare il diritto di ultima parola, nella difesa e nella sicurezza, che aveva il raìs defenestrato Hosni Mubarak. 
«Per Hamas è un colpo durissimo – ci spiegava un autorevole giornalista di Gaza, che ha chiesto l’anonimato – nell’ultimo anno i suoi leader hanno fatto di tutto per stringere i rapporti con i Fratelli musulmani egiziani. Si sono resi indipendenti dai Fratelli giordani, hanno abbandonato (il presidente siriano) Bashar Assad e hanno scelto la via della politica, senza rinunciare ufficialmente alla lotta armata contro Israele». Solo qualche settimana fa, dopo l’elezione a presidente di Morsy, i vertici di Hamas avevano ottenuto l’apertura piena del valico di Rafah, che ha rotto il blocco israeliano della Striscia almeno per i movimenti delle persone. L’attacco jihadista alle guardie di frontiera nel Sinai ha rimesso tutto in discussione, mandando in fumo mesi di lavoro diplomatico. «I militari e i servizi di sicurezza egiziani sono infuriati con Hamas – aggiunge il giornalista – accusano i leader di Gaza di non aver tenuto sotto controllo gli estremisti che ammirano al Qaeda e di averli lasciati liberi di pianificare azioni armate con i fanatici che agiscono nel Sinai. Per Haniyeh e (il leader in esilio) Khaled Mashaal non sarà  facile ricucire i rapporti».
Delusione e sgomento regnano nei ranghi del movimento islamico palestinese. «La luna di miele tra Hamas e l’Egitto è terminata e le due parti potranno ristabilire rapporti privilegiati solo se il governo di Gaza sarà  in grado di provare che nessun palestinese è stato coinvolto nell’attacco armato di domenica scorsa», afferma l’analista Mukhaimer Abu Saada, dell’università  al Azhar di Gaza city. Non sarà  facile perché i servizi egiziani insistono sul coinvolgimento anche di «elementi palestinesi». Il Cairo non solo ha chiuso il valico di Rafah e avviato la distruzione dei tunnel sotterranei di collegamento con il territorio egiziano. Vuole anche che il governo Haniyeh provveda all’estradizione di Mumtaz Doghmuz, dello pseudo-qaedista «Esercito dell’Islam», e di Ayman Nofel, Riad alAtar e Mohammed Abu Shamal, tre ufficiali di «Ezzedin Qassam», il braccio armato di Hamas, che avrebbero collegamenti stretti con i miliziani nel Sinai. Un bel guaio per i leader di Hamas costretti a scegliere tra la difesa ad oltranza dei suoi «militari», che considera eroi della resistenza contro Israele, e le relazioni future con gli egiziani. Mentre sale il malcontento della popolazione di Gaza per le conseguenze delle scelte egiziane che accentueranno le difficoltà  quotidiane causate dal blocco israeliano. «Ci attendono giorni molto duri dopo la distruzione dei tunnel, torneremo a lottare per procurarci bombole del gas e altri prodotti di prima necessità . Ricorrendo di nuovo al mercato nero dove i prezzi sono molto alti», teme Samer Hijazi, un commerciante di Deir al Balah. 
L’esercito egiziano ha fatto affluire rinforzi nel Sinai e ha riferito dell’uccisione di una sessantina di miliziani. Con i soldati e i carri armati però sono arrivati anche i bulldozer che stanno distruggendo i tunnel dove transitano le merci per la popolazione palestinese e non servono solo ai movimenti dei jihadisti come dicono i vertici militari egiziani. La chiusura delle gallerie è un duro colpo anche per coloro che vivono di traffici clandestini (e per il ministero delle finanze di Hamas che riscuote una tassa sulle «importanzioni») e che ora dovranno trovare altre forme di sostentamento. I proprietari di alcuni tunnel e i loro dipendenti minacciano proteste ad oltranza.

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