Siria, scendono in campo tutte le potenze regionali

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Il presidente egiziano Mohammed Morsi, il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon, e in qualche modo anche il Leader supremo dell’Iran, Ali Khamenei, sono state le vedettes della giornata di ieri al Vertice del Movimento dei Non Allineati in corso nella capitale iraniana Tehran. E la crisi in corso in Siria è stata il principale tema sul tavolo, anche se non certo l’unico – Ban ad esempio ha denunciato le ricorrenti minacce dell’Iran di distruggere Israele (dichiarando però anche inaccettabili le minacce israeliane di attacchi all’Iran…). L’intervento più atteso era probabilmente quello di Morsi, la cui presenza a Tehran è una notizia in sé (è il primo presidente egiziano a mettere piede in Iran dalla rivoluzione del 1979). E lui ha subito affrontato il tema che divide l’Iran da quasi tutti i paesi arabi: infatti ha esortato i 120 paesi presenti a levarsi contro il «regime oppressivo» del presidente Bachar al Assad – provocando la reazione irritata dal ministro degli esteri siriano Walid al Moualem, che è uscito dalla sala. «Lo spargimento di sangue in Siria è una responsabilità  che ricade su tutti noi, e non si fermerà  senza un’efficace interferenza di noi tutti», ha detto il presidente egiziano. Morsi ha esplicitamente paragonato la rivolta in Siria con le «rivoluzioni» che hanno rovesciato i vecchi regimi in Tunisia e in Egitto: «Dobbiamo dichiarare la nostra piena solidarietà  con la lotta di coloro che cercano libertà  e giustizia in Siria, e tradurre questa simpatia in una chiara visione politica a sostegno di una transizione pacifica a un sistema democratico che rifletta la richiesta di libertà  del popolo siriano». Ovvia la reazione del ministro degli esteri siriano, che ha accusato Morsi di incitare i ribelli («terroristi») a «continuare a spargere il sangue siriano». Più interessante l’atteggiamento dell’Iran. L’ayatollah Khamenei aveva aperto la giornata con un discorso in cui aveva accuratamente evitato di nominare la Siria: con ogni evidenza una scelta deliberata, per evitare frizioni e mantenere il tono del paese ospite. Il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad, che siedeva accanto a Morsi, è rimasto impassibile alle sue parole. I media ufficiali iraniani hanno evitato di riferire le parole del presidente egiziano sulla Siria, che stonerebbero con l’immagine trionfalista somministrata all’opinione pubblica interna, quella di una leadership iraniana egemone. Ma la politica estera di Tehran è più pragmatica di così. L’Iran è un alleato di vecchia data della Siria di Assad ed è stato l’unico paese a votare contro l’espulsione della Siria dall’Organizzazione della Conferenza islamica, il 14 agosto; allo stesso tempo prende atto della situazione (probabilmente irrecuperabile, per l’alleato) e punta a essere parte della definizione del dopo-Assad (anche se questa parola non compare, nelle dichiarazioni pubbliche: ancora ieri l’influente deputato conservatore Alaeddin Boroujerdi dichiarava che «non c’è una soluzione della crisi senza Assad»). Dal canto suo, il presidente Morsi rivendica un ruolo delle potenze regionali, di fronte a un Consiglio di sicurezza dell’Onu bloccato e al fallimento della mediazione di Kofi Annan: anzi, propone che quattro paesi (Egitto, Iran, Arabia saudita e Turchia) convochino una conferenza di pace per la Siria, che porti a una tregua di tre mesi per definire una transizione politica. Finora le potenze occidentali, Stati uniti e Gran Bretagna in testa (ma anche l’Italia) si sono opposte alla presenza dell’Iran in ogni «gruppo di contatto» o di mediazione. Anche Ban Ki-moon ha denunciato la repressione delle «pacifiche dimostrazioni» che hanno dato avvio alla crisi in Siria: ora però parla di una «guerra civile che distrugge il ricco tessuto di comunità » del paese, e ha chiesto a tutti gli antagonisti di fermare la violenza, e a tutti gli altri di smettere di armare le parti. Il segretario generale dell’Onu, che mercoled’ ha anche incontrato il Leader supremo Khamenei, ha chiesto all’Iran di fare passi concreti per dimosttrare che il suo programma atomico è esclusivamente civile – cosa che Tehran ha sempre sostenuto e Khamenei ha reiterato nel suo discorso ai Non Allineati: l’Iran non cerca armi atomiche, anzi vuole battersi per il disarmi atomico; ma «non rinuncerà  mai al diritto degli iraniani a usare l’energia nucleare con fini pacifici». Nulla di sorprendente, sono posizioni più volte espresse da tuti i rappresentanti dell’Iran. Forse sorprende di più il raffronto dei discorsi del presidente egiziano e del leader iraniano, singolarmente consonanti (tolta la Siria.) Anche Morsi ha chiesto una zona denuclearizzata in medio oriente, e ha rivendicato più influenza per i paesi in via di sviluppo in un nuovo ordine mondiale in cui il potere dell’Occidente è in declino. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu va riformato, dice il presidente egiziano: basta con il sistema per cui cinque potenze hanno diritto di veto, ci vuole un sistema «più rappresentativo del 21esimo secolo». Per Khamenei l’attuale composizione del Consiglio di sicurezza ppporta a «una flagrante forma di dittatura mondiale» degli Stati uniti. Ma certo, tutto questo presupporrebbe un Movimento dei Non Allineati con una reale influenza internazionale: per ora non è così, anche se il vertice di Tehran gli ha ridato un po’ di lustro.


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