“Spese statali ridotte del 18% e salari minimi giù del 22%” Atene prova a piegare i falchi

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ATENE – Più — ciliegina sulla torta — una legge anti-fakelaki, le onnipresenti bustarelle che costano al paese (dati di Transparency international) 544 milioni l’anno. Antonis Samaras cala il jolly nella doppia partita a scacchi che dovrà  giocare con Angela Merkel (oggi) e Francois Hollande (domani) per convincerli a regalare alla Grecia due anni in più per far quadrare i suoi conti. «Atene deve fare i compiti a casa» è il mantra da mesi dei falchi tedeschi. Bene, accontentati. Il premier ellenico è pronto per essere interrogato. E a squadernare sotto il naso dei diffidenti partner europei i risultati — molti, è innegabile — e le promesse (altrettante) che dovrebbero, spera lui, assicurargli una promozione a pieni voti e «il tempo necessario a far ripartire subito il paese ».
La posta in gioco nella doppia trasferta del premier ellenico è altissima. E non a caso la sceneggiatura è stata studiata nei dettagli. Dando in pasto all’opinione pubblica tedesca cresciuta a pane e Bild («Basta soldi a quel pozzo senza fondo della Grecia», l’ultima uscita del tabloid) proprio quello che voleva. I greci non pagano le tasse?
Voilà , la festa è finita: le squadre speciali dell’erario hanno battuto a tappeto la scorsa settimana le isole dell’Egeo, staccando migliaia di verbali. Il 55,7% dei locali “visitati” non faceva scontrini, con Naxos (73,8%) in cima alla lista nera dei paradisi offshore made in Greece. Un caso? No. A Zante qualcuno ha pensato di andare a spulciare la lista dei 650 ciechi che percepivano 350 euro al mese di assegni statali a testa. Sorpresa: quelli veri erano 50. E agli altri — tra cui cacciatori dalla mira infallibile e taxisti — è stato ritirato il sussidio. Certo, qualche resistenza c’è. Sull’isola di Hydra la folla ha
attaccato la polizia che voleva arrestare un ristoratore reo di non rilasciare ricevute. Ma con teutonica severità , le forze dell’ordine sono riuscite ad avere la meglio.
Fin qui il folklore. Buono per i titoli sui giornali e per aiutare la Cancelliera a convincere i suoi concittadini che la Grecia merita una seconda chance. La realtà  però è che Samaras, malgrado la vulgata, non arriva a Berlino a mani vuote. Yannis Stournaras, il ministro delle finanze, tace. Ma i suoi uomini (e il budget dello Stato) sono prodighi
di informazioni: «Guardi i numeri, parlano da soli». Eccoli in fila: Atene ha ridotto del 16% da 31 a 26 miliardi l’anno gli stipendi del settore pubblico, ha tagliato le spese statali del 18%, ha ridotto del 22% il salario minimo. Risultato: il costo del lavoro è sceso del 3% lo scorso anno e del 9% nel primo trimestre del 2012, il rapporto deficit/Pil è crollato a ritmi da Guinness dal 10,4% del 2010 al 2,2% del 2011. E i dati del bilancio dello Stato nei primi sette mesi sono migliori rispetto agli obiettivi imposti dalla Troika. «Io so solo che sono tre anni che tiro la cinghia, ho visto il mio stipendio scendere da 1.250 a 930 euro. E che sono stufo di sentire Wolfgang Schaeuble che ci bacchetta perché non manteniamo le promesse», dice Leonidas Mou-tafis, professore di geografia allo Zoografo.
Si sarebbe potuto fare di più? Certo. «Né Papandreou né Samaras hanno voluto attaccare alla gola evasori e aziende pubbliche per non perdere voti nei loro bacini elettorali» sostiene Heleni Manitakis mentre combatte il caldo di Atene con un caffe freddo a un bar di Exarchia. Ma il vero problema, visto dal Partenone, è che tutti i sacrifici del paese finora son serviti a poco. Anzi. Il Pil è sceso del 17,5% in quattro anni. E nessuno vede la luce alla fine del tunnel. «Il ministero della pubblica istruzione ci ha già  annunciato che a novembre i caloriferi delle scuole rimarranno spenti perché non ci sono soldi», dice Leonidas. Fuori dalle mense dei poveri del Pireo le code si allungano ogni giorno. E la disoccupazione tra i giovani è arrivata al 54,9%.
«Ci serve solo aria per respirare. Vogliamo due anni in più, non soldi», chiede Samaras. «Il tempo è denaro, due anni sono 20 miliardi di aiuti aggiuntivi», calcolano impietosi alla Bundesbank, ironizzando sul fatto che a parte le nuove sforbiciate a stipendi e pensioni — 5,5 miliardi, mica noccioline — i 13,5 miliardi di tagli che il premier presenta come uno scalpo a Berlino sono una fotocopia delle promesse (privatizzazioni e dieta per il pubblico impiego) non mantenute da Papandreou. Angela Merkel, condizionata dalle elezioni del 2013, oscilla come il pennino di un sismografo tra falchi e colombe e aspetta l’ok della Troika («non prima di ottobre ») per dire sì ai 31 miliardi di aiuti necessari a pagare stipendi e pensioni. La Grecia segue il balletto con il fiato sospeso. «Devono darci una mano — dice in camera caritatis un preoccupatissimo deputato di Nea Demokratia, il centrodestra di Samaras — . Il governo sta insieme con lo scotch. Sarà  un’impresa titanica far passare i tagli in Parlamento in caso di concessioni. Senza, sarebbe una via crucis». Per la Grecia e, forse, per tutta l’Europa.


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