Una candidatura da «vero stupro», Akin si scusa ma non vuole lasciare

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NEW YORK – Aveva tempo fino alle cinque di pomeriggio (le nostre undici di sera) di ieri per cedere alle pressioni dei leader di partito e ritirarsi, ma ancora ieri sera il deputato repubblicano Todd Akin ripeteva testardo che avrebbe continuato la campagna elettorale per strappare il seggio al senato alla democratica del Missouri Claire McCaskill. «Lo stupro è una atto malvagio… Ho sbagliato l’uso delle parole ma non è sbagliato quello che c’è nel mio cuore», insisteva Akin in uno spot di trenta secondi frettolosamente realizzato per riparare il danno fatto dalla sua surreale dichiarazione dell’altro giorno: «In un vero stupro («legitimate rape», ndr) una donna molto raramente rimane incinta perché, mi dicono i dottori, il suo corpo riconosce la situazione e chiude tutto».
Con Obama che, presso l’elettorato femminile, viaggia con ventidue punti di vantaggio rispetto a Mitt Romney, non ci sono scuse che tengano per il povero Akin, e il coro affinché si levi di mezzo lasciando correre un altro candidato è stato unanime, a partire dal ticket repubblicano. Romney ha definito i commenti di Akin «offensivi, inscusabili e francamente sbagliati». L’aspirante vicepresidente Paul Ryan gli avrebbe telefonato personalmente per dirgli di andarsene. Il leader della minoranza al senato Mitch McConnell lo ha fatto in pubblico. Non solo, il Comitato nazionale del partito repubblicano ha annunciato che avrebbe ritirato l’appoggio finanziario e organizzativo alla campagna di Akin. Mentre Crossroads GPS, il gruppo di Carl Rove che ha già  investito 5 milioni di dollari in Missouri per sconfiggere Claire McCaskill, ha detto che fermava immediatamente le sue attività  nello stato. 
Di fronte a un’opportunità  così appetitosa, i democratici si sono ben guardati dallo stare zitti. «Commenti come questi sono la prova del perché non dobbiamo permettere che una manciata di politici, in maggioranza uomini, prenda delle decisioni che riguardano la salute di una donna», ha affermato Barack Obama, e ancora: «Uno stupro è uno stupro. L’idea che si debba analizzare e qualificare di che tipo di stupro si tratta non ha nessun senso agli occhi del popolo americano. E certamente non ha senso ai miei».
«Con un passato di pubblico ministero, Claire McCaskill ha avuto modo di rappresentare centinaia di vittime di stupro. E di capirne da vicino il trauma e il dolore. Quell’esperienza rende i commenti di Akin ai suoi occhi ancora più oltraggiosi», è stata la dichiarazione rilasciata dai portavoce della senatrice del Missouri. Tra i seggi che i repubblicani vorrebbero riconquistare a novembre (il nefasto disegno ultimo di Rove punta ad avere le due Camere del Congresso e la Casa bianca controllate dal partito dell’elefante), il suo sembrava uno dei più a portata di mano. 
Ma non è solo quel seggio che i repubblicani si stanno giocando mentre l’ultimatum dato ad Akin per scomparire si avvicina. L’idea di una guerra contro le donne, ordita dal partito repubblicano, con in testa Romney e Ryan è un’immagine che fa molta presa sull’elettorato democratico. Ed è una cosa di cui aver paura sul serio.
Per stupidità  e ignoranza del funzionamento elementare del corpo femminile, i commenti di Akin sono la punta dell’iceberg. Ma quello che gli sta sotto non è molto meglio. Lo stesso Paul Ryan l’anno scorso aveva lavorato proprio con Akin a una proposta di legge anti-aborto per limitare ulteriormente i casi in cui l’interruzione di gravidanza sarebbe permessa anche quando si tratta di stupro. 
Romney e Ryan sono inoltre entrambi a favore di un emendamento della costituzione americana che identificherebbe l’inizio della vita di un feto con l’istante del concepimento. Il che non renderebbe solo illegale l’aborto ma anche gran parte dei metodi anticoncezionali attualmente in uso.


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