“Una vergogna le bonifiche fantasma ora basta col sistema delle emergenze”
ROMA — Cento milioni gettati al vento per una finta emergenza sulla quale indaga la magistratura. Altri 56 Sin (siti inquinati di interesse nazionale) che aspettano le bonifiche da anni: e intanto causano tumori e malattie. Il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, interviene sullo scandalo della laguna di Grado e Marano raccontato da Repubblica. «C’è una patologia del sistema delle bonifiche che denuncio da tempo, e che sono impegnato a curare».
Soldi, commissari e niente bonifiche (o bonifiche inutili): è così?
«Sì. La patologia nasce dal fatto che in questi anni la decisione — giusta — di risanare siti industriali si è poi tradotta in un’operazione diversa. Vale per Grado e Marano, Bagnoli, Marghera, Trieste. Invece di risanare questi territori, i Sin, con il sistema dello stato di emergenza, e tutta l’impalcatura che ci stava intorno, sono diventati una palestra per mungere soldi allo Stato. Vedi inchiesta di Udine».
E lo Stato ha sempre aperto i rubinetti.
«È sempre stato il ministero dell’Ambiente a promettere risorse agli enti locali. Si faceva intendere alle Regioni che più era grande l’area da bonificare, e più soldi sarebbero arrivati. In Friuli è andata così. Il fine non era più mettere a posto il sito ma cercare di approfittare dei finanziamenti. Una deriva che è diventata strutturale,
con il ricorso alla Protezione civile per la gestione delle emergenze».
Commissari, studi, consulenze, cricche. Una mangiatoia.
«Senza risolvere il problema. Anzi, a volte peggiorandolo».
Grado-Marano: tre commissari e nessuna bonifica. Oltre il danno, la beffa.
«È un caso emblematico. Le procedure di emergenza dovevano restare aperte sei mesi; sono rimaste aperte 10 anni dentro un contenitore chiamato conferenza dei servizi».
Dopo il decommissariamento deciso a aprile da Monti, come risolverete la situazione della Laguna?
«La gestione ora è nelle mani della Regione. Collaboriamo affinché vengano escluse dai Sin le aree non inquinate. E per far partire i dragaggi. Entro fine settembre avremo una road map definitiva ».
Lo scandalo del Friuli ricorda una Maddalena-bis. C’è sempre lo zampino della Protezione civile (gestione Bertolaso) e del sistema sfruttato dalla cricca del G8. Che ne pensa?
«Che è stato un sistema vergognoso, un danno per lo Stato. Quando mi hanno riferito che cosa era stato scoperto a Udine ho subito proposto alla Protezione civile di chiudere lo stato di emergenza.
A livello nazionale abbiamo limitato le emergenze a casi che davvero lo richiedono. Ma siamo ancora pieni di problemi, Maddalena compresa. C’è stata una deresponsabilizzazione delle amministrazioni, sostituite da commissari e strutture di missione. Stiamo ritornando a una gestione ordinaria. Il ministero si è
ripreso le sue competenze».
Ci sono casi imbarazzanti. Come quello di Francesco Piermarini, cognato di Bertolaso. Esperto di bonifiche, lo ritroviamo (indagato) sia nell’inchiesta del G8 alla Maddalena sia in quella sulla Laguna. È stato pagato dallo Stato eppure, in entrambi i casi, sono
state bonifiche flop.
«Siamo intervenuti su questo. La Protezione civile era autorizzata a fare di tutto in nome dell’emergenza, fornitori e consulenti sono sfuggiti a ogni gara pubblica. È un circuito che abbiamo interrotto ma che produce strascichi».
In Italia ci sono 57 Sin (uno studio ne ha presi in considerazione 44 calcolando che tra il ‘95 e il 2002 hanno provocato 10mila morti in più). Sono state approvate bonifiche soltanto per il 10% delle aree. A che serve dichiarare inquinato un luogo se poi lo si lascia lì a marcire e a fare danni?
«È la domanda che facevo sempre da direttore generale all’Ambiente.
Mai avuto risposta. Da quando sono ministro sto cercando di trovare una soluzione per quella che è diventata una palla al piede per lo sviluppo del Paese. I siti appena messi in sicurezza possono essere riutilizzati».
Qual è il caso più preoccupante?
«Taranto».
L’Ilva ha pronti 146 milioni per le bonifiche. È un modello da seguire quello di far pagare ai privati anziché allo Stato?
«È l’unico possibile. L’Ue non consente che il pubblico si faccia carico di risanare impianti industriali privati».
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