Una vita da atleta strappata alle sbarre

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Hope Solo è il portiere della squadra di calcio femminile degli Stati Uniti d’America che stasera si gioca allo stadio di Wembley l’oro olimpico contro il Giappone. Hope Solo è stata concepita nella prigione di Walla Walla. Così è chiamata da guardie e detenuti la galera di Washington. Il padre di Hope, Jeffrey John Solo, vi era detenuto per appropriazione indebita o qualcosa di simile. La sua vita non era certo quella di un colletto bianco. Viveva piuttosto di piccoli e continui espedienti. Una visita in carcere della mamma di Hope fu galeotta. Il colloquio tra i due fu molto ravvicinato. In alcuni paesi il sesso in carcere è consentito. In altri, come il nostro, perfidamente vietato. 
Il padre di Hope Solo in prigione ci è finito non solo quella volta. Hope, però, pur devastata da una infanzia durissima, gli è comunque riconoscente. «È mio padre. Ha creato la persona che adesso sono. Mi ha amato. Avevo una relazione unica con lui. Solo che non era adatto a fare il marito, il padre e il cittadino responsabile». Non l’ha mai vista giocare nella squadra di calcio degli Usa. È morto nel 2007 prima che Hope Solo, oramai già  grande personaggio negli Stati Uniti, vincesse l’oro alla Olimpiade di Pechino nel 2008. Il padre, tra un crimine e un altro, faceva vita da homeless. Oggi non c’è rischio che Hope girando per la Central London incontri un senza casa, qualcuno che chieda l’elemosina che gli faccia ricordare la sua storia familiare. Gli homeless sono scomparsi da Regent Street, da Piccadilly, da Hyde Park, dalle stazioni metro. Eppure chiunque conosce la capitale britannica ben sa che in epoca non olimpica se ne vedevano in gran numero a dormire per terra sui cartoni o a chiedere l’elemosina.  Il centro, che a Londra è particolarmente grande, è stato «ripulito» da poveri, mendicanti, tossicodipendenti e matti. Un’operazione da vetrina. Torneranno tutti a dormire non lontani dalle luci di Harrods non appena le Olimpiadi saranno finite. Hope Solo, già  star negli Usa per il suo aspetto da top model, è diventata famosa nella prima fase dei Giochi per avere detto che tutti, lei compresa, fanno sesso nel villaggio Olimpico, un po’ dove capita. Non è un’ipocrita. Wembley stasera si riempirà  fino all’ultimo posto per assistere alla riedizione dell’ultima finale del campionato del mondo di calcio femminile persa dagli Stati Uniti contro il Giappone, la cui stella indiscussa è Homare Sawa, «garofanino frangiato», Pallone d’oro nel 2011, persona dai toni meno giocosi e più austeri: «combattiamo per noi stesse e per il Giappone». Un Giappone che finora ha vinto solo due medaglie d’oro, una nella ginnastica e una nel judo. Il Giappone è dato vincente a 3.7. Gli Usa di Hope Solo a 2. Hope Solo – che ha subito tre goal dal Canada nella semifinale, insufficienti tuttavia grazie alle quattro reti americane, di cui la quarta segnata all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare – potrebbe aggiudicarsi il secondo oro olimpico. Chissà  cosa scriverà  su Twitter a proposito dei tifosi nipponici. Due anni fa ebbe il coraggio di criticare i supporter dei Boston Breakers per i loro cori offensivi e razzisti. A essere condannata fu però lei stessa. Pagò 2500 dollari di multa.


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