Uomini nuovi per l’Angola

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Quando vuole ascoltare la città , Arlindo Barbeitos, 71 anni, lascia i suoi libri, scende le scale del caseggiato fatiscente con l’ascensore che non funziona mai, e va a spasso per Maianga, il quartiere di Luanda in cui vive. Ingorghi e grattacieli in costruzione, strade disselciate, candongeiros (taxi collettivi) che sparano l’ultimo brano di kuduro, lavoratori cinesi che fumano appoggiati a una staccionata, giovani portoghesi che la crisi europea ha spinto verso l’ex colonia… La capitale angolana, dove risiede un quarto della popolazione nazionale, vive in fibrillazione dal 2002, quando è terminata la guerra civile che, a partire dall’indipendenza ottenuta nel 1975, ha opposto praticamente senza tregua il Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla) e l’Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola (Unita). Negli ultimi tempi, però, Barbeitos ha notato un cambiamento nell’umore della gente: «Una signora mi ha detto: “Sono sempre stata per l’Mpla. Ma questa volta non voterò, così capiranno che non siamo d’accordo con la loro politica”». Veterano della guerra di liberazione Intellettuale noto nel paese, ex allievo del filosofo Theodor Adorno, Barbeitos è anche un veterano della guerra di liberazione. Ma, pur compagno di strada dell’Mpla, il suo giudizio non è lontano da quello dell’interlocutrice: «Non ho lottato per questo, ma per un’Angola più giusta – dice con gli occhi che brillano, sprofondato nel suo divano -. Non difendo necessariamente il pensiero di Thomas Hobbes, ma approvo la sua idea secondo la quale la democrazia richiede una certa giustizia economica. Una giustizia che da noi non esiste ancora». Poche ore prima del nostro incontro, il 27 maggio, aveva assistito a uno spettacolo fino ad allora impensabile nelle strade di Luanda: una manifestazione di quattromila ex militari, che reclamavano pensioni mai pagate: soldati e sottoufficiali delle forze armate angolane che avevano combattuto tra il 1975 e il 2002. Al contrario degli ufficiali e dei commilitoni invalidi di guerra, questi non graduati, il cui numero è stimato in circa quarantamila, non percepiscono una pensione mensile. E sperano almeno nel premio di smobilitazione promesso dal governo alla fine del conflitto, dieci anni fa. «Sono indignato. Nel frattempo, il nostro ministro per gli ex combattenti si pavoneggia davanti alla stampa con un orologio da 50 mila dollari. Sono un veterano anch’io!», si adira Barbeitos. Gli ex soldati, molti dei quali provengono dalle file dell’Unita e a partire dal 1992 sono stati reintegrati nell’esercito nazionale, da allora sono tornati ancora in piazza e minacciano di impedire lo svolgimento delle elezioni generali, le terze dall’indipendenza, previste per il 31 agosto. Sulla base dell’ultima revisione costituzionale del 2010, sarà  designato presidente della Repubblica e capo del governo il capolista del partito che riporterà  più voti. L’Mpla dovrebbe vincere, superando come sempre l’Unita. E il presidente José Eduardo dos Santos, 69 anni, al potere dal 1979, dovrebbe quindi ricevere una nuova investitura. Con ogni probabilità , lascerà  poi il posto al suo numero due, Manuel Vicente, ex dirigente della compagnia petrolifera Sonangol. La crisi, un uragano australe Nella capitale, il tasso di partecipazione dell’87,36% toccato nel 2008 sarà  difficilmente raggiunto. La pace aveva allora appena sei anni. Alle elezioni del settembre 2008, l’Mpla aveva ottenuto l’81,64% dei suffragi. Ma, poco dopo, la crisi finanziaria internazionale si è abbattuta come un uragano australe sul paese. I cantieri si sono fermati, provocando un inizio di panico tra gli investitori stranieri. Il kwanza, in difficoltà , è stato svalutato del 25% rispetto al dollaro. La ridotta classe media luandese, impiegata nell’emergente settore privato dei servizi, ha visto volare i tassi di interesse dal 6% al 25% e di conseguenza dissolversi il sogno di accedere alla periferia sud di Talatona dove si insediavano gli espatriati. Molti giovani imprenditori sono falliti. Nel 2009, il paese ha subìto una nuova scossa, politica questa volta: contrariamente a quanto annunciato, le elezioni presidenziali sono state rinviate di tre anni. «A partire da quel momento – confida un simpatizzante del regime – un senso di disagio ha cominciato a circolare tra alcuni prestigiosi militanti dell’Mpla. Per loro, dos Santos aveva varcato la linea rossa. Se fosse andato via nel 2008, sarebbe uscito a testa alta: vincitore del conflitto contro l’Unita e promotore del rilancio economico del paese. I luandesi non avrebbero visto il bicchiere mezzo vuoto, ma mezzo pieno. Ora è il contrario.» Nel corso di una delle sue rare interviste, concessa al quotidiano britannico Financial Times , Vicente non ha nascosto la preoccupazione per il crescente divario che, nell’Angola post conflitto, separa sempre più la classe dirigente da una popolazione composta al 60% da giovani. I musseque, i quartieri popolari che circondano la capitale, rimangono i punti dolenti di un paese classificato al 148Ëš posto – su 187 – dell’indice di sviluppo umano del Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp). Poca acqua potabile, ancora niente elettricità , rare le scuole. Qui, i vantaggi della pace sembrano slogan pubblicitari, e l’Mpla è spesso percepito come una reliquia del passato. Il suono del nuovo Angola Il kuduro, musica del nuovo Angola che ibrida con ritmi elettronici la kizomba e la semba ballate dagli anziani, costituisce per la gioventù un modo per esprimere, attraverso figure acrobatiche, il suo surplus di energia. Ideato in sale di registrazione di fortuna, poi diffuso dai soujd system dei candongueiros, è apparso a metà  degli anni ’90, mentre la popolazione dei musseque esplodeva per l’afflusso dei rifugiati della seconda guerra civile che stava devastando l’interno del paese. Si è quindi imposto rapidamente tra i giovani dei ghetti come un viatico per dimenticare una realtà  quotidiana fatta di privazioni e coprifuochi. Propagandosi tra le diaspore lusofone di Lisbona e di Johannesburg, il kuduro ha cannibalizzato tutte le altre musiche urbane. Alla fine della guerra, arricchito da tecno commerciale, kwaito sudafricano, reggae, rap, ma anche dal kwassa-kwassa congolese, si è imposto come la musica degli emarginati della capitale. Recentemente, la musicologa tedesca Stephanie Alisch, in occasione di un’inchiesta a Luanda, ha costatato che in città  circolavano ormai i primi kuduro a favore del partito governativo. Eppure, fino agli anni 2000, il ruolo sociale del kuduro era ignorato dal potere che lo considerava, tutt’al più, un guazzabuglio sonoro. Oggi, il genere è promosso dal ministero della cultura ed è ampiamente programmato sui due canali pubblici televisivi. «Ma negli ultimi tre anni ha anche perso molto in creatività  – sottolinea un altro specialista del genere, il disc-jockey franco-americano Benjamin Lebrave -. A contatto con il potere, si è visto emergere soprattutto un kuduro bling-bling e consensuale.» «In Angola, i soldi permettono di comprare tutto, compresi i musicisti considerati un po’ troppo ribelli. Ma la gioventù ha vinto il timore del sistema e comincia a mostrare pubblicamente le proprie frustrazioni. È finita, gente, non si torna indietro: la paura è scomparsa», esclama il dj angolano-portoghese Pedro Coquenà£o. A capo del collettivo Batida, ha appena firmato con l’etichetta britannica Soundway un primo disco di kuduro cosciente, emblema della frustrazione di una parte della gioventù luandese: quella collegata sulle reti sociali e i blog, come Central Angola o il sito anticorruzione Maka Angola, animato dal giornalista e militante per i diritti umani Rafael Marques de Morais. «Come mai, a dieci anni dalla fine ufficiale della guerra, la maggioranza degli angolani non ha potuto godere del boom economico della ricostruzione, contrariamente agli espatriati? – si chiede Coquenà£o -. Rileggo spesso Agostinho Neto (il primo presidente dell’Angola indipendente, ndr ). Il suo sogno, quello di un paese multiculturale risparmiato dall’imperialismo, è svanito. Non aveva torto quando diceva che la partenza dei portoghesi non avrebbe impedito il perdurare dei problemi legati allo sfruttamento delle nostre risorse petrolifere. Siamo solo passati dalla catastrofe alla calamità .» Ikonoclasta, l’uomo da abbattere Nel collettivo Batida sono in molti a essersi scontrati col potere: Sacerdote, Mck, ma soprattutto Ikonoklasta, «l’uomo da abbattere -secondo lo scrittore José Eduardo Agualusa – come tutti coloro che in questo momento lottano per la democrazia in Angola». Dopo una prima manifestazione di quattrocento persone contro dos Santos, organizzata nel marzo 2011 a Luanda, nella speranza di vedere fiorire una «primavera» angolana, Ikonoklasta partecipa a tutti i raduni. Perseguitato dalla polizia, minacciato dai miliziani, aggredito alla fine di una marcia, il giovane rapper dà  tanto più fastidio al potere in quanto è figlio di Joà£o Beirà£o, un defunto amico del capo dello stato, direttore della fondazione Eduardo dos Santos durante gli anni ’90. Paulo Lara, figlio di L ຠcio Lara, uno dei padri dell’indipendenza, considera Ikonoklasta «molto coraggioso», ma riflette: «Luanda non è l’Angola.» Nell’interno del paese, dove le conseguenze della guerra sono più pesanti, gli elettori vedono ancora il «bicchiere mezzo pieno»: le centinaia di chilometri di strade e di ferrovie ricostruite, che collegano il mondo agricolo alla costa, rappresentano il 90% dell’attività  economica. Entrato nella guerriglia nel 1972, a 16 anni, a partire dal 1975 Lara figlio ha scalato la gerarchia militare fino a entrare nello stato maggiore dell’esercito di terra. Dopo quarant’anni di carriera, ha scelto di andare in pensione. La mattina dell’11 novembre 1975, in compagnia di una bottiglia e di una canzone di Rui Mingas, il grande scrittore Manuel Rui, che allora aveva 34 anni, componeva l’inno che sarebbe stato cantato la sera stessa, quando la nuova bandiera angolana si sarebbe alzata sventolando nella notte di Luanda. Si parlava di «rivoluzione, attraverso il potere del popolo», e, naturalmente, dell’«uomo nuovo». «Sarebbe ora di scrivere un nuovo inno, non crede?», chiede lo scrittore. A ritmo di kuduro? (traduzione Graziana Panaccione) © le monde diplomatique-il manifesto La versione integrale del reportage la troverete sul prossimo «Diplò», che uscirà  il 1 7 agosto in abbinato al manifesto, per poi restare in edicola fino al 13 settembre.


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