Bce in Cerca del Compromesso Perfetto l’Ipotesi di una «Assistenza Tecnica» del Fmi

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Draghi in effetti ha calmato le acque per tutti, meno se stesso e pochi altri. Da quando a fine luglio l’ex governatore della Banca d’Italia ha detto che la Bce farà  «whatever it takes» («qualunque cosa serva») per preservare la moneta comune, attorno a lui si è snodata una trama di minacce e ricatti impliciti fra Paesi. I segni di quello che stava succedendo emergevano di rado. La presunta voglia di dimissioni del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, è solo l’ultima spia di questa attività  poco visibile ma in parte ancora in corso.
La posta ovviamente non è solo la capacità  dell’Italia e della Spagna di onorare i debiti nei prossimi anni, ma l’euro. Formalmente, la trattativa che ha agitato l’estate riguardava gli interventi che la banca centrale può o non può fare per aiutare Madrid o Roma, ma presto è sconfinata nel campo dei rapporti fra gli Stati. Lo ha fatto perché le condizioni da chiedere ai due grandi del Sud in cambio degli aiuti, il loro grado di dignità  e di sovranità  sono il nervo scoperto su cui i grandi debitori e i creditori dell’euro si sono lacerati. È su questo che l’agosto della Bce è stato febbrile ed ha finito per riportare in gioco i tecnici il Fondo monetario internazionale. Per loro è un po’ come essere chiamati nei panni di «Caschi Blu» dell’economia, garanti degli equilibri e della fiducia fra europei.
Hanno pesato, è vero, certe frasi in pubblico e in privato. Nella Bce per esempio c’è irritazione verso Mariano Rajoy, perché il premier spagnolo insiste a voler vedere i piani della banca prima di decidere se chiedere il sostegno. Persino le «colombe» trovano che un debitore che mette pressione sull’Eurotower complichi la loro azione. Ma alla fine, almeno sul piano tecnico, il metodo delle operazioni sta cominciando a emergere in vista del consiglio direttivo di giovedì. La maggioranza dei 23 banchieri centrali con diritto di voto sembra accettare l’idea che l’Eurotower compri sul mercato titoli di Stato fino a scadenze di 2 o 3 anni. Ciò dovrebbe ancorare a livelli sopportabili anche il costo dei bond fino a 10 anni. L’altra opzione (meno probabile) è che la Bce si impegni in acquisti illimitati solo su titoli entro i 12 mesi, in modo da controllare i rendimenti dei bond fino alle scadenze sui 2 o 3 anni. Giovedì la banca centrale dovrebbe decidere inoltre che pubblicherà  regolarmente informazioni su quanto denaro avrà  speso e sui titoli acquistati, perché tutti sappiano. Anche un altro dubbio pare risolto: benché abbiano già  firmato un memorandum, Grecia, Portogallo e Irlanda non avranno diritto a questi aiuti pensati per Spagna e Italia, perché la Bce li riserva ai Paesi che non hanno perso l’accesso al mercato dei capitali o ai Paesi che «stanno per riconquistarlo» (un’ultima concessione offerta a Dublino).
Fino a questo punto la messa in musica tecnica. Ma è la politica che divide ed è qui che debitori e creditori dell’euro hanno giocato in agosto una sfida basata sulla dissuasione nucleare di un possibile crollo della moneta. Da quando Draghi il 3 agosto ha detto che per accedere agli aiuti qualunque Paese deve firmare un memorandum, i più intransigenti fra i leader e i banchieri centrali del Nord hanno chiesto che le condizioni di quel documento siano dettagliate e rigide. Vorrebbero che i memorandum e la vigilanza penetrino nel tessuto fine della vita di un Paese, un po’ sul modello Grecia. La Finlandia sostiene anche che eventuali prestiti all’Italia, tramite la Bce o i fondi salvataggi, vadano garantiti con gli immobili dello Stato. Rajoy mette in chiaro oggi sul Corriere che per lui sono pretese inaccettabili. Quanto all’Italia, anche Mario Monti ha una netta avversione: il premier trova che intrusioni del genere avrebbero un retrogusto coloniale.
Spagna e Italia a queste condizioni rifiutano di prendere in considerazione il memorandum ed è qui che entrambe giocano la carta della dissuasione nucleare: un eventuale avvitamento finanziario di due fra le prime dieci economie del mondo sarebbe devastante per tutta l’area-euro e oltre. L’aiuto sarà  forse necessario, ma le condizioni non possono essere imposte. Solo negoziate. Draghi in questa trattativa è il fulcro, grazie ai suoi contatti frequenti con la cancelliera Angela Merkel e la sua capacità  di plasmare la maggioranza nella Bce. Alla fine un compromesso possibile coinvolge proprio l’Fmi. In questo caso, le condizioni dei memorandum si baserebbero sulle tradizionali raccomandazioni europee ai singoli Paesi, ma con vigilanza trimestrale e, in più, l’«assistenza tecnica» (senza apporto di soldi) da parte del Fondo.
È possibile che anche un patto del genere finisca per avere interpretazioni diverse sui vari paralleli della carta d’Europa. Soprattutto, per i «falchi» nella Bce resta da capire cosa succede se un Paese firma i patti, la banca lo aiuta generosamente e poi il governo di colpo ferma le riforme. Dev’essere per questo che Merkel mercoledì ha chiesto a Monti se conta di restare a Palazzo Chigi anche dopo le elezioni. La risposta del premier: ora non voglio pensare a niente che possa condizionare le mie scelte attuali nell’interesse dell’Italia.


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