Bo Xilai, ascesa e caduta di un leader

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Sarebbe stato impossibile andare al fatidico appuntamento con un convitato di pietra tanto ingombrante. I due annunci, venerdì scorso, hanno coinciso, anche perché era un unico organismo, il Politburo, a decidere a porte chiuse su entrambe le vicende. Così con la data del Congresso è stato reso noto anche il verdetto raggiunto su Bo Xilai, che del medesimo Ufficio politico era fino a pochi mesi fa uno dei 25 membri: espulsione dal Pcc e conseguente sua consegna alla giustizia ordinaria per una serie di crimini commessi mentre era uno degli uomini più potenti del paese: corruzione, abuso di potere, gravi responsabilità  in relazione all’incidente Wang Lijun e all’omicidio dell’uomo d’affari inglese Neil Heywood commesso dalla moglie Gu Kailai e, dulcis in fundo, relazioni sconvenienti con altre donne. Non bastasse, aleggia nella sentenza, a mo’ di spada di Damocle, anche l’accusa di coinvolgimento in altri reati non specificati. Le indagini sono andate persino indietro nel tempo scoprendo violazioni che risalirebbero a quando Bo era ancora sindaco di Dalian, prima del suo arrivo a Chongqing. Dopo la condanna di Gu Kailai alla pena di morte sospesa per due anni per l’omicidio di Heywood e i 15 anni di carcere inflitti all’ex capo della polizia di Chongqing, Wang Lijun, fuggito al consolato Usa con le prove del delitto, il verdetto del Pcc su Bo chiude il terzo atto del «dramma di Chongqing».
Resta da vedere di che natura sarà  l’epilogo della trilogia, cioè la celebrazione del processo all’ex leader. Difficile che si tenga prima del Congresso, visto che la decisione di espulsione del Politburo deve essere ratificata dall’ultimo Plenum del Comitato centrale del Congresso uscente, fissato per l’1 novembre. Ancor più improbabile che si tenga a porte aperte, con l’alea che l’ex leader decida di vendere cara la pelle. La resa dei conti in ogni caso si è compiuta e alla vigilia del Congresso è servita a dimostrare, come il Politburo ha dichiarato nel suo comunicato, che «non importa quanto sia potente, nessun corrotto sfuggirà  alla punizione della disciplina di partito e alle leggi della nazione». Una formula ripetuta a ogni scandalo e processo eccellente, e che il cinese comune accoglie con sarcasmo sempre meno rassegnato. La durezza della sentenza contro Bo spiega anche il ritardo con cui si è arrivati infine a fissare il Congresso e lo slittamento del suo inizio. Il braccio di ferro deve essere stato aspro e al dunque hanno prevalso quelli che oggi si rivelano i più forti: Hu Jintao, Wen Jiabao e il futuro capo dei capi, Xi Jinping, che consideravano Bo una Cartagine da spianare. Resta da capire, ma ci vorrà  tempo, se hanno dovuto cedere qualcosa e a chi. Ma al dunque l’indebolimento forte di una fazione interna come quella di cui Bo Xilai era parte, e che molti identificano con una sinistra dai connotati non sempre chiari e comunque politicamente «conservatrice», ha probabilmente aiutato le trattative tra i gruppi più forti. Per quanto si cerchi di capire cosa si agita all’interno del Pc cinese, per quanto si analizzino le sue straordinarie doti di resilienza e adattamento finalizzate al mantenimento del potere, sfugge del tutto ancora oggi la composizione degli interessi «materiali» al suo interno, che di sicuro le attuali categorie contrapposte, «sinistra conservatrice» e «liberal riformisti», non rappresentano fino in fondo. L’ascesa rutilante prima e la caduta rovinosa poi di Bo Xilai non hanno di fatto contribuito a chiarire questo aspetto, che sarà  probabilmente cruciale nei prossimi dieci anni, quelli in cui si dispiegherà  l’azione della nuova dirigenza e avanzerà  una nuova generazione di leader. La punizione inflitta all’ex astro nascente servirà  però da ammonimento a chi voglia ricalcarne le orme con la costruzione di una leadership personalizzata, carismatica e soprattutto molto caratterizzata politicamente.


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