Card e autocertificazioni, i fuori busta del consigliere

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ROMA — Batman, forse, vuol dire fiducia: nel Lazio di Franco Fiorito alcune voci della busta paga dei politici sembrano basarsi su un unico, granitico presupposto, l’onestà  del consigliere. Figurarsi se esistono motivi per dubitarne, certo che no. Ma la quantificazione di alcune voci dipende fondamentalmente dall’autocertificazione, o poco più. Per fare un esempio piccolo piccolo: la Viacard è fornita dall’amministrazione e il politico, a fine mese, deve comunicare quante volte l’abbia usata per motivi personali, nel qual caso, ovviamente, la somma gli viene detratta. Ma è sufficiente che risponda «mai», e lo stipendio rimane intatto. E così, prima ancora dei bonifici di Fiorito, i modi — legali — per veder crescere il proprio compenso, non sono pochi. E figurarsi se c’è un politico che ne approfitti.
Non è semplice districarsi tra le voci della busta paga, e nella Regione dei fondi pubblici usati per le ostriche, è Giuseppe Rossodivita, dei Radicali, a raccontare dettagli e consuetudini: «Oltre alla busta paga, che in media è di ottomila euro netti, c’erano anche 4.190 euro al mese, servivano per curare il rapporto tra eletto ed elettore». Adesso sono stati cancellati? «No, diminuiti della metà ». Erano quattromila lordi? «Netti, esentasse, transitavano sui fondi del gruppo e finivano in quelli personali». Ma era necessario presentare fatture, dimostrare che li si era spesi per il rapporto con gli elettori? «Macché, niente».
«Subito dopo l’elezione bisogna riempire dei moduli, in autocertificazione». Tra le informazioni richieste, la residenza: in base alla distanza dal Consiglio, al politico spetta il rimborso. Rossodivita mostra il suo: 64 chilometri, 385 euro. Ovviamente, maggiore è la distanza e maggiore è la cifra pagata. «Si calcola in base alla residenza, come prevede la legge»: ecco, è tutto a norma di legge. Solo che i maligni, nei corridoi della Regione, sorridono, ipotizzano che alcuni l’abbiano cambiata, la residenza, in modo da risultare abitanti di comuni lontani. Malignità , sicuramente.
Al totale di dodici-tredicimila euro al mese si arriva grazie a voci cospicue: alcune fisse, come indennità  di carica — consigliere — da novemila euro. Poi ce ne sono di variabili: ai 3.503 euro della diaria, ad esempio, ne vengono tolti 250 per ogni assenza in Consiglio. Ci sarà  un metodo rigoroso per prendere le presenze, ovvio: «Insomma, si firma all’inizio dell’assemblea e poi non è detto che si rimanga in aula. Ma noi queste cose le abbiamo già  denunciate, tutte, inutilmente». Altra voce variabile, l’indennità  di funzione: per capigruppo, presidenti e vicepresidenti di commissione. Sarà  anche per questo che, tranne rare eccezioni, tutti i consiglieri avevano un incarico? Di certo, l’incarico vale: mille euro al mese in più per i vice, millecinquecento per i capigruppo. Detto di un’assicurazione sanitaria che copre ogni tipo di spesa medica e costa al mese meno di una pulizia dei denti (112 euro), nella legislatura ormai sul punto di concludersi il totale pagato in media ai consiglieri — al netto dei centomila euro a testa in più dei quali parla Fiorito — era di ottomila in busta paga e quattromila fuori. Rossodivita, scusi, un’ultima domanda: ma per prendere le presenze dei consiglieri in Consiglio, non per sfiducia, non sarebbe possibile incrociare i dati delle firme con quelli di votazione? Tanto per evitare che un consigliere firmi e vada a casa, ecco. «Sarebbe possibile, sì, ma quasi sempre votiamo per alzata di mano». Strano, perché da anni gli scranni sono predisposti per il voto elettronico.


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