Dalla società alla politica l’eterno scontro tra generazioni
Se la rivoluzione non è un pranzo di gala, nell’Italia del 2012 la rivolta generazionale è un’attesa infinita, un equivoco crudele, un’allegra frustrazione e quindi una ridda senza capo né coda.
Giovani pochi e riluttanti, babbioni troppi e scalpitanti. Annunciate rottamazioni e gerontocrazie in via di santificazione; attempati leader come Casini esibiscono vezzosi braccialetti ye-ye, Veltroni e Fassino indossano la cuffia da Dj per dialogare con Diaco, mentre entrantissimi nugoli di T/Q, divenuti ormai professionisti della giovinezza, sottoscrivono patti promettendo che a 60 anni si chiameranno fuori, come una specie di voto di castità .
Strano paese e desolatamente “vecchio”, come lo definì Carlo Azeglio Ciampi nel 2005. Non molto è cambiato da allora a oggi. S’invoca il parricidio e dilagano le tinture di capelli. Prodi intigna con la bici – e un po’ si stizzisce anche se nel duello la spunta Squinzi, che qualche annetto pure lui ce l’ha. Berlusconi si rovina appresso alle minorenni, ma con la partecipazione straordinaria e ottuagenaria di Emilio Fede. Mentre Fini mette strane cravatte lucenti, fa le immersioni e poi dispone gli squali sul display del telefonino…
Ma ecco che a un certo punto Matteo Renzi, già da tempo soprannominato “GiocaGiò”, impugna l’anagrafe come un randello: «Bersani ha l’età di mio padre – proclama – il Cavaliere quella di mia nonna». Al che Rino Formica, con amaro sarcasmo, diffonde un detto delle sue parti: «Ammazzateli, i vecchi, perché sanno la storia». Grillo inveisce contro “le salme” e i “morti viventi”. Bersani rivendica nell’organigramma della eventuale vittoria “un presidio d’esperienza”, che è un modo per tenersi buoni i nonnetti del Pd.
E ancora una volta ci si chiede se questa è la volta buona; o se l’ardente chiamata dei rinnovatori, rottamatori, formattatori o resettatori che siano, finirà come l’inutile radio messa su dal ministro Giorgia Meloni, dimenticabile ministro della Gioventù, o come l’organizzazione benefica “Milano young” by Barbara Berlusconi and Geronimo La Russa, o come i convegni intergenerazionali di “Vedrò” che Enrico Letta, anche lui promosso o retrocesso al rango di ex giovane, comunque conclude con una partita di subbuteo.
Difficile, in realtà , è anche solo capire com’è cominciata questa buffa favola o questa drammatica commedia a sfondo biologico. Non che prima sia andato sempre tutto liscio, né si può dire che i giovani trovassero tappeti rossi davanti ai piedi e gli anziani si facessero da parte con facilità . Basti ricordare un Fanfani d’annata che dinanzi all’ennesima richiesta di svecchiamento sbottò: «Se uno è bischero, è bischero anche da giovane»; come pure Andreotti che alla metà degli anni 70, incalzato dalle pressioni americane perché la Dc si arricchisse di «fresh faces», con un lampo neglio occhi e stringendo le sottili sue labbra rispose: «A Roma questa impellente necessità di facce fresche rischia di attirarci un’abbondanza di fresconi».
E ci sarà anche stato, tale pericolo, ma più passa il tempo e più chiaramente si comprende che la Prima Repubblica aveva in sé utili dispositivi di ricambio fisiologico, specie di valvole di sicurezza che consentivano ai processi di giungere a maturazione senza troppi traumi. Vedi i “giovani” di Iniziativa democratica che con qualche energico spintone (affare Montesi) si sostituirono a De Gasperi e alla classe dirigente popolare. Ma vedi anche, dall’altra parte, l’abilità con cui Togliatti, approfittando del caso Seniga-Secchia, riuscì a costruire il “partito nuovo” facendo fuori la vecchia guardia.
Al dunque si potrebbe stabilire una simultanea simmetria storica negli avvicendamenti dei due partiti-chiesa. Per cui se alla fine degli anni 60 il Pci salta la generazione di Amendola, Ingrao e Pajetta per promuovere a predestinato segretario Enrico Berlinguer, nella Dc Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani si danno appuntamento nel teatro di un piccolo centro delle Marche, a San Ginesio, per stringere un accordo generazionale ai danni dell’allora segretario Flaminio Piccoli.
Fra i socialisti, per anni dominati dall’annosa diarchia Mancini-De Martino, il sospirato ringiovanimento arriva più tardi, nel 1976, all’hotel Midas, con una operazione che senza la pur distaccata benedizione del vecchio Nenni saprebbe di congiura. Craxi ha 42 anni, Manca 45, Signorile 39, De Michelis appena 36, ma tra cambio di linea e novità anagrafica si stabilisce un circuito virtuoso che forse allunga di una ventina d’anni la vita del Psi.
Invano cercò di reagire la Dc con Goria. Se Mario Segni e Leoluca Orlando presero altre strade, Mastella, Scotti e altre anime in pena dello scudo crociato lasciarono calare sui loro sogni il dileggio di un “Midas interruptus”. L’ultima svolta di quella lunga stagione, anche se la più crudele, può considerarsi il patto stretto nel garage di Botteghe Oscure tra Occhetto e D’Alema per esautorare il segretario Natta, appena colpito da un infarto.
Si avvertì una brezza giovanile nel 1993, con l’elezione a sindaco di Rutelli, Bassolino, Cacciari, Enzo Bianco, Leoluca Orlando: ma a quel punto era già iniziata la Seconda Repubblica. Il guaio, semmai, è che tutto si è poi come paralizzato. Bossi e Berlusconi e Di Pietro e tutti gli altri protagonisti erano sì nuovi, ma non proprio giovani. Né francamente le graziose deputatesse create dal Cavaliere si potevano assimilare alla pregiata categoria.
Cossiga seguitava a dare del “ragazzino” a chiunque avesse meno di 70 anni. I partiti riempivano i palchi di giovani come fosse una specie in via d’estinzione. E così, piano piano, fra trucchi di scena e cliniche della salute, incidenti domestici, forzose gite in discoteca e variazioni prostatiche, la vita pubblica italiana sempre più cominciò, ma anche finì per assomigliare a “Villa Arzilla”, l’allegro gerontocomio della tv.
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