Europa solidale con giovani e poveri per evitare il pericolo populista

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Segmenti importanti delle opinioni pubbliche nazionali anzi attribuivano a Bruxelles la responsabilità  della crisi già  iniziata. Nel mezzo della discussione, un esponente di primo piano della Commissione prese la parola e disse: conosciamo bene questi dati, siamo noi che finanziamo i sondaggi. Ma l’Ue sta facendo le cose giuste, «sono i cittadini che hanno torto».
Questo episodio la dice lunga sulla scarsa sensibilità  (ma forse si tratta di una impreparazione culturale) delle tecnocrazie europee a misurarsi con il tema del consenso. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la crisi dell’euro si è ormai trasformata in una crisi di legittimità  dell’Unione Europea. Populismi di destra, massimalismi di sinistra, difficoltà  crescenti dei partiti di governo a mantenere la rotta europea, sostegno popolare nei confronti della Ue ai minimi storici: l’ondata non ha investito solo la «viziosa» Grecia, ma anche la «virtuosa» Olanda ed è pronta a colpire nelle prime elezioni utili molti altri Paesi, compreso il nostro.
I politici nazionali hanno anch’essi giocato un ruolo di primo piano nell’attizzare il fuoco populista. Per anni hanno scaricato il biasimo per le riforme impopolari (pensioni, mercato del lavoro, liberalizzazioni) su Bruxelles e Francoforte. Quante volte abbiamo sentito dire: dobbiamo farlo, ce lo chiede l’Europa? Per un po’ il gioco è riuscito, ha effettivamente attutito l’opposizione di elettorati recalcitranti al cambiamento. Ma al prezzo di erodere, riforma dopo riforma, il sostegno verso un’Unione presentata sempre più come un «cane da guardia», quasi una maniaca del rigore per il rigore. Sfortunatamente, a causa di un complesso di ragioni non tutte europee, i vantaggi delle riforme già  fatte tardano ad arrivare, ma il «cane da guardia» Ue continua a chiedere sacrifici ai «viziosi» e ora vorrebbe anche costringere i «virtuosi» a pagare di più. Come stupirci se in queste condizioni il mercato politico ha aperto nuovi spazi alla propaganda antieuropea, a Sud come a Nord? Se la tendenza continua, rischiano di venir meno le stesse condizioni di possibilità  politico-sociale del progetto di integrazione.
Che a Cernobbio Monti e Van Rompuy abbiamo riconosciuto il problema e la necessità  di reagire è, finalmente, un segnale positivo, un primo atto di etica della responsabilità  (politica) esercitato a favore dell’Ue in quanto tale. L’importante è che il sassolino lanciato produca una svolta non solo sincera e condivisa da tutti i leader, ma anche concreta nelle sue proposte d’azione. Il messaggio da elaborare e comunicare non è quello «contro» i populismi, ma «per» una Ue più amica e sensibile ai bisogni dei cittadini.
Opportunità  per i giovani, lotta alla povertà , nuovi investimenti in un «sociale» che porti insieme più inclusione e più crescita (istruzione, ricerca, servizi): queste le tematiche su cui insistere e formulare proposte puntuali. Moltissimi spunti sono già  sui tavoli di Commissione, Parlamento e persino Bce. Pensiamo alla Youth Guarantee, ossia l’obbligo da parte di ogni governo di offrire formazione, lavoro o tirocini a tutti i giovani che finiscono la scuola. Oppure all’idea di vincolare i Paesi a dotarsi di uno schema di reddito minimo di inserimento, entro un quadro di regole definite a Bruxelles. Si potrebbe anche considerare la proposta di un vero e proprio Social Investment Pact: incentivi e penalità  per Paesi che non rispettino obiettivi comuni in termini di povertà  relativa, rendimento scolastico, politiche di conciliazione e di parità  e così via. Difendere l’euro e far ripartire la crescita restano, beninteso, obiettivi imprescindibili. Ma il loro perseguimento non preclude certo l’impegno su fronti che hanno una visibilità  e un impatto più diretto sulla vita quotidiana degli europei. L’iniziativa di Monti avrà  successo nella misura in cui riuscirà  a far emergere una Ue più impegnata a proteggere i più deboli, tramite un programma accattivante sul piano simbolico e davvero convincente sul piano pratico.
PS. Anche su questo terreno, per essere credibili bisogna fare i compiti a casa. L’Italia ha un tasso di povertà  (soprattutto fra i minori) molto elevato e il Programma nazionale di riforma 2012 non contiene nessuna misura seria per rispettare i target Ue. Sarebbe un vero peccato se il governo Monti non lasciasse in eredità  un Piano per l’inclusione sociale degno del nome e articolato in base alle indicazioni europee, come hanno già  fatto ventuno Paesi membri su ventisette.


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