Fece scrivere all’alunno “sono deficiente” la Cassazione: “Stop al bullismo dei prof”

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PALERMO — Di bocconi amari pensava di averne ingoiati già  abbastanza. Ma ora, ormai in pensione da un anno, davanti alle motivazioni della sentenza della Cassazione che ha confermato la sua condanna a 15 giorni di carcere per aver punito l’atto di bullismo di un alunno facendogli scrivere cento volte sul quaderno “Sono deficiente”, Giuseppina Valido dice: «Non era questa la tutela che mi aspettavo dallo Stato. Dopo questa sentenza qualunque insegnante sarà  alla mercé del primo genitore infuriato. E poi mi chiedo che messaggio si dà  ai ragazzi? ».
È da cinque anni che la storia di Giuseppina Valido, apprezzata professoressa di lettere, divide il mondo della scuola, ma ora le motivazioni della Cassazione quasi ribaltano le posizioni: il comportamento prevaricatore, da “bullo”, sarebbe quello del docente e non quello del ragazzo se la punizione adottata è ascrivibile ad un “abuso dei mezzi di correzione”. Perché questo è il reato per il quale Giuseppina Valido è stata condannata.
La vicenda è del 2007: in una seconda media, due ragazzini impediscono l’accesso al bagno dei maschi ad un compagno schernendolo: «Tu non puoi entrare qui, sei gay, sei una femminuccia». Dei due “bulli” dodicenni, uno chiede subito scusa al compagno, l’altro si rifiuta e la professoressa di lettere reagisce con durezza: «E allora scrivi cento volte sul quaderno “Sono deficiente”». Punizione che fa andare su tutte le furie il padre dell’alunno punito che decide di denunciare l’insegnante. La difesa della prof, assistita dall’avvocato Sergio Visconti, convince il giudice di primo grado che la assolve ritenendo prevalente la tutela della vittima dell’atto di bullismo, ma la sentenza viene poi ribaltata in appello e confermata dalla Cassazione. Che motiva così: gli insegnanti non possono rispondere con metodi prepotenti agli atteggiamenti di “bullismo” degli allievi perché, «finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o sociali) sono decisi dai rapporti di forza o di potere». La sesta sezione penale aggiunge: «Costituisce abuso punibile anche il comportamento doloso che – come in questo caso – umilia, svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute anche se è compiuto con una soggettiva intenzione educativa o di disciplina».


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