Fra i ribelli nel cuore insanguinato di Aleppo “I caccia di Assad ci stanno decimando”

Loading

ALEPPO – C’è sangue ovunque. Imbratta i volti dei feriti, cola dalle barelle, crea ampie gore sul pavimento. E’ sui muri, sulle sedie, sulle tende. Lo senti perfino nell’aria, quando il suo odore metallico si mischia alla polvere e al fetore delle immondizie. Il sangue di questo ospedale clandestino, appena approntato in un quartiere conquistato dagli insorti, la dice lunga sulla battaglia che infuria ad Aleppo. Basta contare il numero di corpi straziati che auto impazzite scaricano di continuo. «Le forze del regime ci stanno decimando, solo stamattina sono arrivati diciassette feriti gravi, quattro dei quali non ce l’hanno fatta», dice il chirurgo Hamad Radwan, un omino basso e tondo di 39 anni. «La strategia dei lealisti consiste nel bombardare sistematicamente ogni quartiere, ogni strada, ogni casa nelle mani dell’Esercito libero siriano (Els) per costringerlo a ritirarsi da Aleppo. Per questo ci sono aeree della città  sotto un continuo diluvio di missili e di granate».
Due giorni fa, a pochi isolati da qui, il dottor Radwan è lui stesso miracolosamente sopravvissuto alla bomba che ha centrato e distrutto il pronto soccorso dove stava operando. Dice: «L’altra spiegazione a questo inferno di fuoco è che il regime di Damasco voglia punire i civili che non combattono contro i ribelli, e che magari li ospitano e li sostengono. Ma non è così: la maggior parte della popolazione non parteggia per nessuno. I pazienti che tento di salvare sono vittime sacrificali schiacciate tra due eserciti».
Per arrivare all’ospedale dove lavora Radwan attraversiamo una città  che sembra fatta di macerie e, prima ancora, villaggi distrutti, periferie rase al suolo, decine di edifici resi calcinacci affumicati. In questo abominio si aggirano soltanto pochi uomini: camminano lentamente, come storditi, alla ricerca di qualcosa da recuperare tra i calcinacci. Lo spettacolo dello sfacelo operato dai Mig e dai carri armati governativi è cento volte più drammatico di quello che vedemmo un mese fa, prima che su Aleppo cadessero chissà  quante altre tonnellate di bombe. «Capita che i caccia colpiscano anche due o tre volte la stessa casa, come se mirassero alla cieca», spiega Mustafa Assaf, il giovane soldato dell’Els che ci accompagna. «Per noi, il rombo dei loro motori è diventato quasi un suono famigliare», scherza il ragazzo, indicando il cielo costantemente pattugliato dai Mig governativi.
Il quartiere dove sorge l’ospedale clandestino è sorprendentemente trafficato. Molti negozi sono aperti, i marciapiedi gremiti di passanti. Poi, però, a un incrocio ci ferma un ribelle di una brigata d’opposizione. «I cecchini», dice. «Non potete proseguire». Mustafa ci invita a seguirlo a piedi, fino a raggiungere alcuni soldati dell’Els appostati al riparo di sacchi di sabbia. Il silenzio è rotto all’improvviso dalle esplosioni secche dei tiratori scelti. Immediatamente parte la risposta degli insorti, con sventagliate di kalashnikov sparate però verso il nulla, a casaccio, perché su questa linea di fronte i lealisti godono di una migliore visuale. Le raffiche dei ribelli sono quindi brevi, per non sprecare preziose munizioni.
«Da quando hanno riconquistato alcune strade del quartiere, l’esercito del presidente Bashar al Assad ha schierato i suoi cecchini, che sparano su chiunque, soprattutto sui civili, per terrorizzarli», spiega Mustafa. Quadro che evoca un déjà  vu: il feroce assedio di Misurata, con i plotoni di cecchini gheddafisti che da Tripoli street scaricavano i loro fucili sulla popolazione inerme. Quei lealisti lì, però, non potevano contare sui caccia né sugli elicotteri da combattimento che garantiscono alle forze di Damasco la supremazia del cielo.
Anche se generali lealisti giurano che entro la metà  del mese avranno ripulito Aleppo dai “terroristi”, Mustafa, recitando quando ha sentito dai suoi capi, si dice convinto che gli insorti non indietreggeranno. «Ormai le forze di Damasco non riescono a riprendere il controllo dei quartieri che abbiamo conquistato e si affidano solo all’aviazione», sostiene, confermando poi quanto sostengono molti analisti, ossia che il regime non può rischiare di inviare la fanteria a combattere per le strade delle città  ribelli. Infatti, salvo gli alti ufficiali, che come il presidente appartengono per lo più alla minoranza alauita, il grosso delle truppe è composta da sunniti, i quali potrebbero disertare alla prima occasione. O peggio, fraternizzare con gli insorti.


Related Articles

I 7 punti della pace russa: Assad non c’è

Loading

Siria. Mosca avrebbe redatto un piano di pace senza il presidente siriano e poi invita opposizioni e governo a negoziare in Russia. La fretta di Putin dettata dalla volontà di uscire vincente dalla crisi

Per fare la guerra non serve più nemmeno la «pistola fumante»

Loading

La disinformazione serve anche a disorientare l’opinione pubblica che difficilmente riesce a leggere il contesto siriano e soprattutto a reagire sia al presunto uso di gas che ai bombardamenti

Agenti e Cellule del Pkk Damasco può rispondere scatenando attentati

Loading

Ankara è inquieta non solo per i colpi di mortaio siriani. A renderla ancora più tesa è l’attività  di gruppi estremisti sponsorizzati da Siria e Iran. Un’azione prima portata avanti dalla guerriglia curda del Pkk ma che negli ultimi mesi ha trovato nuovi attori. Negli ambienti diplomatici di Washington sono stati accolti con preoccupazione i movimenti di fazioni presenti in Turchia.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment