Gli aiuti costano caro, Pp precipita nei consensi

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MADRID. Ci siamo quasi. La Spagna arranca esausta nella sua corsa verso il salvataggio, ma il traguardo è vicino. Ad ottobre, novembre al massimo, dovrebbe arrivare l’ufficialità  e con essa una pioggia di soldi europei nelle casse malandate del Paese. Manca poco, ma l’ultimo tratto è tutto in salita. Merkel tiene in scacco il premier Rajoy con il bastone e la carota: pubbliche lodi per il rigore nei tagli e private richieste di ulteriori sforzi. Lo stesso fa la Bce, che, come ha dichiarato giovedì scorso, vuole imporre nuove e «rigide condizioni» per l’accesso agli aiuti. La Spagna si trova così in mezzo a una morsa che rischia di gettarla in uno stato di asfissia irreversibile.
Il governo conservatore del premier, nonostante le dichiarazioni di facciata, ne ha preso atto e sa che, alle condizioni imposte dalle istituzioni europee, il salvataggio rischia di diventare una specie di patto col diavolo. Dopo otto mesi di cure dimagranti a tutte la voci di bilancio e di continue richieste di sacrifici l’esecutivo ha ormai ben chiare due cose.
La prima è che altre misure di austerità  risulterebbero intollerabili agli spagnoli e potrebbero costar caro al partito. Inequivocabili segnali in questo senso arrivano dai risultati di un recente sondaggio tra gli elettori del Partido Popular, commissionato dal quotidiano el Paà­s: il 60% ha perso la fiducia nel premier; 1 su 2 non rivoterebbe il Pp. Ciononostante i popolari mantengono 6,8 punti di vantaggio sui socialisti, che però dallo scorso 20 novembre (data delle elezioni) hanno rimontato 14 punti.
Un’emorragia di consensi che spaventa il Pp e lo mette sulla difensiva. A breve, le elezioni nei Paesi Baschi e in Galizia – a cui l’esecutivo guarda con malcelata inquietudine – saranno un ottimo banco di prova per capire se la tendenza elettorale si è effettivamente invertita. Intanto, alla vigilia della presentazione delle previsioni di bilancio per il 2013, che conterranno altri tagli, alcune regioni mettono le mani avanti inscenando una sorta di obiezione di coscienza verso le misure più impopolari del governo centrale. In Extremadura, per esempio, non alzeranno l’Iva sui prodotti culturali; in Galizia la campagna del candidato alla presidenza regionale Alberto Feijà³o, gira intorno allo slogan «io non ho alzato le tasse».
L’altra cosa che il governo sa bene è che nuovi ritocchi alla pressione fiscale o allo stato sociale, sarebbero semplicemente insostenibili, «a meno di non voler toccare la carne viva» (ovvero le pensioni), come ammettono fonti governative. Per un salvataggio «light» l’Europa chiede garanzie che il governo non è certo di poter fornire: soprattutto, il raggiungimento dell’obiettivo di deficit (praticamente impossibile), la riforma del sistema bancario e quella del finanziamento alle regioni autonome.
Ad ogni modo, se il tentativo non dovesse andare a buon fine, il prezzo dell’aiuto europeo rischia di essere il passaggio dalla recessione alla depressione e una conseguente e soffocante stretta del guinzaglio che già  lega la Spagna alla troika. Una dinamica che Madrid ha proprio sotto gli occhi: il Portogallo, che ha già  «beneficiato» del salvataggio, è stato costretto in questi giorni ad applicare nuovi e pesanti tagli. Per non parlare della bocciatura del nuovo piano di tagli greco da parte della troika.
Intanto l’altro ieri si è riunito il comitato federale del Psoe, che ha annunciato un autunno di dura opposizione e ha manifestato un fermo rifiuto all’ipotesi di salvataggio, quali che siano le condizioni dettate dalla Ue. Il segretario del partito socialista Alfredo Pérez Rubalcaba ha proposto come alternativa all’intervento dell’Unione – «il certificato d’incompetenza di Rajoy» – una riforma fiscale interna per massimizzare ed equilibrare le entrate. Sembra poca cosa di fronte alle dimensioni della crisi spagnola, ma per una valutazione bisognerà  aspettare i dettagli del progetto. Dal meeting è emersa anche preoccupazione per la «regressione conservatrice del governo in materia di diritti e libertà » e la necessità  di disegnare una legge di stabilità  sociale che si opponga allo «smantellamento del welfare». Con queste stesse rivendicazioni scenderanno in piazza i sindacati il prossimo sabato a Madrid.


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