I dolori di Enel e Telecom

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BUENOS AIRES. C’è una frase, recuperata dal peronismo storico degli anni ’40-’50, che Cristina Kirchner e i suoi ministri usano sempre quando nazionalizzano una compagnia straniera: «È stata recuperata la sovranità ». È un termine mutuato dalla lotta per riprendere le isole Falkland-Malvine, per il momento ancora inglesi. «Abbiamo recuperato la sovranità  petrolifera» e nazionalizzano Ypf. «Abbiamo recuperato la sovranità  monetaria» e nazionalizzano la zecca privata, Compaà±à­a sudamericana de valores.
In aprile, un alto funzionario della diplomazia italiana in Argentina, disse al manifesto che, dopo l’esproprio di Ypf alla spagnola Repsol, il nostro governo era preoccupato dal fatto che la stessa sorte potesse toccare anche a Edesur, la filiale dell’Enel che distribuisce energia elettrica a Buenos Aires ed era sul punto della bancarotta come le sue società  satellite. Il manifesto aveva fatto sapere in anteprima che il premier Mario Monti aveva scritto una lettera segreta a Cristina, in cui le chiedeva di aiutare Edesur, permettendole di liberalizzare i prezzi dell’elettricità  (bloccati dai tempi dell’apocalittica crisi del 2001), ma lei aveva risposto picche.
A distanza di 4 mesi, la situazione è cambiata, Edesur continua a essere sull’orlo del fallimento, ma invece di ricevere il foglio di via dall’Argentina – dove dall’inizio dell’anno ha subito perdite enormi, provoca blackout nei picchi di consumo, ha negato l’aumento annuale ai dipendenti e ha addirittura lasciato per 3 giorni al buio i monumenti di Buenos Aires perchè è senza soldi -, ha ricevuto una bellissima notizia, dal giovane vice-ministro dell’economia Axel Kicillof: la settimana scorsa lo Stato ha improvvisamente annunciato di voler andare incontro al mercato elettrico. Sebbene i dirigenti di Enel, che per un 31% è italiana, siano prudenti finchè non avranno in mano un decreto ufficiale firmato da Cristina, sicuramente hanno tirato un sospirone di sollievo: l’annuncio di Kicillof mira a salvare capra e cavoli, evitare il fallimento dell’azienda e il malcontento dei cittadini di fronte a un secco aumento delle bollette.
Discorso opposto per Telecom Italia, che si ha sentito il poderoso ministro della pianificazione, Julio De Vido, parlare male del suo gioiello dei fatturati: la locomotiva Telecom Argentina. Questa società , che la settimana scorsa ha annunciato utili per 227 milioni di euro (+1,4% su scala annuale), nonostante guidi assieme alle concorrenti la classifica dei servizi più contestati dai consumatori locali, offre telefonia fissa, mobile ed internet, costituendo assieme al Brasile la principale fonte di entrate per la casa madre italiana.
Telecom Argentina è particolarmente sensibile, perchè nel 2007 sia la Casa rosada che il governo brasiliano si accorsero che la spagnola Telefonica era diventata l’azionista di maggioranza di Telecom Italia, un fatto che configurava una situazione di monopolio su questi mercati, dove i principali operatori appartengono appunto ai due marchi europei che, se controllati solo da Telefonica, avrebbero violato le norme di concorrenza. Secondo l’antitrust argentino, questo spiegava l’obbligo imposto a Telecom Italia di vendere la sua partecipazione in Telecom Argentina, ma dopo una lunga battaglia legale, la compagnia che spiava Bobo Vieri raggiunse un accordo con la Casa rosada in cui giurava di comportarsi come se Telefonica fosse una sua concorrente, pena gravissime sanzioni economiche.
Nell’annuncio di ieri, De Vido voleva solo informare di un mancato affare nel mondo delle telecomunicazioni: le nuove frequenze per il 3G non sarebbero state vendute a nessuno, perchè l’unica compagnia in grado di partecipare all’appalto era Claro, proprietà  dell’uomo più ricco del mondo, il messicano Carlos Slim, e cedendo tutto a un solo attore, si sarebbe «creato un monopolio». Spiegando in questo modo l’esclusione dalla licitazione di Telecom Argentina e Telefonica, il ministro ha rivelato una cosa che nessuno sapeva e che oggi sta facendo perdere alla prima il 4% in borsa: le due compagnie sono state escluse perchè non «garantiscono una concorrenza trasparente», un problema «a cui il governo aveva dato una soluzione, che però è stata rotta dall’aumento della partecipazione azionaria di Telecom Italia» nella controllata argentina. Un’operazione avvenuta a rate l’anno scorso e che è stata la causa dell’inizio di «un’analisi amministrativa per vedere come si debba risolvere questa integrazione monopolistica».
Fra le fortune ammassate da Telecom, Telefonica e Claro con la telefonia cellulare e il monopolio esercitato di fatto dalle prime due, De Vido ha chiarito quindi che le frequenze del 3G sarebbero rimaste allo Stato argentino, probabilmente attraverso la creazione di un’impresa statale che faccia da guida e regolatrice del mercato. «Abbiamo recuperato la sovranità  dell’etere», ha concluso.


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