Il disagio di vivere nel nome di Eluana

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VENEZIA. Di fare «scandalo» a Marco Bellocchio non interessa e non è mai interessato, quello che invece conta per lui è fare un buon film. E Bella addormentata è un buon film, anzi è un film magnifico, anche se è diventato oggetto di polemiche feroci ancora prima di essere girato. L’ottima Film Commission Friuli Venezia-Giulia è stata cancellata dall’amministrazione regionale di centro-destra per avere dato fiducia a uno dei nostri (e non solo) registi più importanti. A scatenare l’ira della politica è stato il soggetto a cui si ispira, la storia di Eluana Englaro la donna morta dopo diciassette anni di coma vegetativo. Il padre, Peppino, era riuscito a ottenere con una lunghissima battaglia legale la sentenza che permetteva di spegnere le macchine. La decisione è divenuta subito il pretesto per un durissimo scontro politico, cavalcato dall’allora premier Berlusconi, e per un «accanimento» mediatico che, come sempre, alimenta lo scontro, l’insulto, la malafede, l’ignoranza.
Dice Bellocchio: «La battaglia e il sabotaggio della regione contro la Film commission appartengono alla dimensione distruttiva della politica italiana. L’hanno abolita in nome di un principio che non si sa quale sia, se non quello di ‘ve la faccio pagare perché avete finanziato questo film’».
Anche ora che lo abbiamo visto, secondo dei titoli italiani in concorso (e da oggi in sala), applauditissimo, dire che Bella addormentata sia un film «su» Eluana Englaro ne limita la riflessione. E questo nonostante la memoria – televisiva soprattutto – di quei giorni lo attraversi costantemente, anzi ne sia l’elemento fondante nella struttura narrativa. Ma Eluana Englaro, nonostante l’immagine che ne rimandavano i giornali, di una ragazza sorridente nei suoi ventuno anni, che non sarebbe stata più nemmeno se ancora viva, non è la Bella addormentata della favola, nessun principe la poteva svegliare né con un bacio né con una pozione magica. Ciò che invece della natura «archetipica» della favola il film di Bellocchio mantiene è dispiegare la sua trama attraverso un intreccio di personaggi, ciascuno «segno» di un disagio singolare, intimo, e al tempo stesso espressione dell’isteria collettiva di un paese. Da una parte e dall’altra. Il politico, la ragazza cattolica, il ragazzo laico, la donna chiusa in sé che spera nel miracolo, in cui lei stessa non crede per prima, la ragazzina in coma, bionda e bella come l’eroina fiabesca, perché così la vuole la mitologia condivisa, l’astrazione della realtà …
Tre storie, tre diverse situazioni che si confrontano con i fatti di quei giorni, e costruiscono una geometrica messinscena filmica di rispecchiamenti, in cui Bellocchio dissemina i luoghi della sua arte.
Un padre (Toni Servillo) parlamentare di governo Pdl ex socialista, deve votare il decreto legge con cui bloccare la sentenza che ha deciso di sospendere le cure. La figlia, cattolica fervente, (Alba Rohrwacher) con le amiche presidia la clinica La Quiete in cui verrà  portata Eluana. I suoi passi si intrecciano a quelli di un ragazzo (Michele Riondino) che è lì con fratello (Fabrizio Falco) per manifestare dall’altra parte, in sostegno della laicità  e del diritto di morire.
Una madre (Isabelle Huppert) è chiusa nella sua magnifica villa, veglia la figlia bellissima in coma. È stata una grande attrice ma per stare accanto alla ragazza si è ritirata dalle scene. Il figlio vuole diventare attore, la ama e vorrebbe che lei tornasse a vivere. Un medico (Piergiorgio Bellocchio) cerca di impedire a una ragazza tossica (Maya Sansa) di suicidarsi, il rapporto tra i due è una sfida di reciproca, delicatissima tenerezza…
Ciò che li unisce è un dolore, una perdita, un accudimento, una ossessione.. L’essere uno di fronte all’altro sul confine della vita e della morte, della razionalità  e dell’ignoto. «Se vedo qualcuno che vuole gettarsi dalla finestra prima lo salvo, poi gli chiedo il perché», dice il medico davanti al letto della sua paziente. Ma è davvero netta questa linea di separazione? O non è altro che il fantasma delle nostre paure più segrete, della vita stessa e della sua preziosissima fragilità ?
Su questo terreno ambiguo, senza dichiarate certezze, Bellocchio costruisce il suo universo, affresco di un paese, di una Storia, feroce critica a un sistema di cui la classe politica berlusconiana è solo una delle manifestazioni, anche se la più evidente, di una trasfigurazione oggi mediatica che nella sua immaterialità  è divenuta la sola realtà  possibile. Il «Corpo del capo», Berlusconi, si proietta all’infinito sui suoi «sudditi», segno di un potere assoluto perché moltiplicato all’infinito nel tempo e nello spazio. Come le cronache di una televisione che strumentalizza gli eventi a misura di una manipolazione, di uno scandalo annunciato.
Lo sguardo in Bellocchio è forte, e teso, mai dogmatico: non è lì per dirci cosa dobbiamo credere o cosa dobbiamo fare, i suoi film sono «politici» nella cifra del paradosso, dell’interrogazione, di una certezza che è progetto artistico e non banale ideologia.
È infatti il suo cinema che punteggia il racconto (grazie anche al grande lavoro di montaggio di Francesca Calvelli), che ne è sostanza: il fratello pazzo del ragazzo laico non è forse l’eroe dei Pugni in tasca? E anche se le loro idee sono certamente più vicine a quelle di Bellocchio che agli ultra-cattolici, la sua voce ci dice che il rifiuto del confronto, pacato, nel rispetto, male profondo del nostro paese (e dei suoi talk show) sono il solo possibile spazio in cui arricchire il pensiero, nel confronto con universi che impongono il dubbio prima della certezza. Ecco perché, l’incontro tra i due ragazzi di convinzioni opposte appare un po’ anche come una specie di ventaglio di possibilità  di chi rifiuta la generalizzazione. Il melodramma e l’opera, l’attrice, che prega ossessiva, è la Divina Madre, ossessionata dalla vecchiaia, farà  coprire tutti gli specchi, inorridita dalle macchie sulle mani, osservando la figlia dormiente come il solo rifugio rimasto al passare del tempo… La psicanalisi nella figura ironica del geniale Herlitzka, che all’ascolto predilige i farmaci. La borghesia di provincia, coi suoi drammi e le sue convinzioni, il grottesco del politico che legge i suoi discorsi di dimissioni a un muro, e ancora una volta è salvato dagli eventi. Fino alla sorpresa, improvvisa e commuovente, di un romanticismo inedito, un passaggio nuovo nella sua poetica, ed è la grandezza di un cineasta che riesce a sorprendere a ogni suo film, rivelando lucidamente, e nel gesto cinematografico, il nostro tempo, le sue radici, la responsabilità  delle scelte.


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