Ilva, lo stop dei custodi: spegnete quegli impianti

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TARANTO — C’è lo stop all’Ilva. Giro di vite per la cosiddetta area a caldo, sequestrata due mesi fa dal gip Patrizia Todisco. Non più tardi di tre giorni fa, il procuratore della Repubblica Franco Sebastio, era stato chiaro: l’azienda non può produrre, ma deve limitarsi solo a rimettere in sesto gli impianti che così come sono avvelenano l’aria di Taranto. E ieri sera si materializza la direttiva dei tre custodi giudiziari: in nome e per conto dei requirenti, ordinano lo spegnimento immediato delle cokerie 3, 4, 5 e 6, e delle torri dalla 1 alla 7, nonché quello degli altiforni 1 e 5, il blocco dell’acciaieria 1 e l’adeguamento dell’acciaieria 2, infine la ristrutturazione del reparto Grf (gestione materiali ferrosi).

I sindacalisti confessano «grande preoccupazione». Sono in pericolo almeno 4mila dei 12mila posti di lavoro che si contano all’interno del siderurgico. Ma gli stessi custodi dispongono anche che il personale in esubero debba essere ricollocato per quelle che saranno le inevitabili operazioni di bonifica.
Il braccio di ferro magistrati-Ilva dunque, va avanti. I dirigenti della fabbrica scuotono la testa: «Ci stanno dicendo che dobbiamo chiudere lo stabilimento. È come se ci avessero condannati a morte». Proprio stamattina il presidente Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano, farà  comunque capolino a Palazzo di giustizia per presentare il piano di risanamento. La famiglia Riva assicura di volere investire per rivedere e correggere questa vera e propria città  nella città , qualcosa come 400 milioni di euro. A partire dai parchi minerali: hanno le dimensioni di cento campi di calcio e sprigionano polveri sottili che ammorbano, e uccidono, chi abita a ridosso di questo dinosauro d’acciaio. L’idea è quella di coprirli per evitare che i veleni si sprigionino ovunque, e di fare disegnare questo “impermeabile” a una star dell’architettura: si fanno i nomi dello spagnolo Santiago Calatrava, di Renzo Piano o dell’inglese Norman Foster. Il nuovo rapporto Sentieri del-l’Istituto superiore della sanità  che sarà  presentato oggi a Roma, conferma nella zona industriale ionica tra il 2003 e il 2008 l’aumento del 10 per cento del tasso di mortalità . Di più: spiega che nei comuni adiacenti ai 40 siti inquinanti d’Italia l’incidenza dei tumori è superiore del 3 per cento rispetto al resto del Paese: si tratta di 500 nuovi malati ogni anno.
Il primo rapporto, quello 1995-2002, raccontava — per quel che riguarda Taranto — pure di un «eccesso di circa il 30 per cento nella mortalità  per tumore del polmone» e di decessi per malattie respiratorie acute «tra il 50 per cento (uomini) e il 40 per cento (donne)». Tutta colpa di un «inquinamento diffuso» nell’ambito di un perimetro dove non figura solo Ilva. Dati che già  erano conosciuti dagli inquirenti. E che, come precisa il ministro della Salute Renato Balduzzi sono «ancora al vaglio della comunità  scientifica». Il titolare dell’Ambiente Corrado Clini, aggiunge: «Non sostengo che si tratta di numeri inaffidabili. Tant’è che a marzo ho riaperto subito la procedura per l’autorizzazione integrata ambientale. Ma ci sono margini di incertezza sul rapporto causa-effetto della mortalità  per tumori relativa alla popolazione di Taranto. Tuttavia negli ultimi trenta-quaranta anni, la situazione è migliorata. Le diossine, che erano un problema drammatico, si sono ridotte di centinaia di volte. Vogliamo continuare a proteggere i cittadini, però senza gli allarmismi che potrebbero frenare la rinascita di Ilva. È una partita che va giocata in modo trasparente. Se no, non se ne esce». Via twitter, Clini ha annunciato che l’Ambiente «si costituirà  parte civile» nel processo contro i Riva: il patron Emilio e suo figlio Nicola sono da luglio ai domiciliari con l’accusa di disastro ambientale.
(ha collaborato Cristiana Salvagni)


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