Israele, il giornale dei laici in mano ai religiosi

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Uno scenario già  visto in tutto il mondo. Maariv non chiuderà , ma passerà  per l’equivalente di 21 milioni di dollari a un nuovo proprietario: il «falco» miliardario Shlomo Ben-Zvi, che già  controlla il piccolo tabloid Makor Rishon («fonte primaria»), d’orientamento religioso e decisamente a destra, a destra cioè del partito Likud, prodotto in economia ma apprezzato soprattutto dai lettori meno sofisticati, in gran parte coloni.
La crisi di Maariv non è recente, né questo è il primo cambio di proprietà  negli ultimi anni. Quotidiano più letto in Israele fino alla fine degli anni 70, le vendite poi erano calate e la concorrenza aumentata. A lungo aveva conteso il primo posto con Yedioth Aharonot («ultime notizie», pure di centro), perdendo infine la gara; entrambi però avevano fortemente subito l’arrivo nel 2007 di un giornale gratuito, Israel Hayom («Israele oggi») diventato in breve il quotidiano più diffuso grazie ai potenti mezzi del suo proprietario, un altro miliardario con la passione della stampa, ovvero l’americano-israeliano Sheldon Adelson, molto vicino al governo.
Al di là  delle classifiche e delle preoccupazioni per gli oltre 2 mila dipendenti di Maariv (se andrà  bene solo un quarto conserverà  il posto), la notizia della cessione del «venerabile» quotidiano, come qualcuno qui lo definisce, fa discutere per le possibili conseguenze politiche.
«Già  Israel Hayom è il giornale di Netanyahu, ora temiamo che anche Maariv si sposti a destra, sulle posizioni del governo», dice al Corriere Roni Shaked, giornalista di Yedioth Aharonot. «Maariv è un rivale del quotidiano in cui lavoro ma non posso certo essere soddisfatto per quanto sta accadendo. L’importante per me e il Paese è che ci siano molte voci critiche, o a farne le spese sarà  la democrazia. Ho invece paura che da domani il pluralismo della stampa verrà  fortemente ridotto». Su Internet, come negli altri Paesi, i siti di notizie coprono l’intero arco politico ma, aggiunge Shaked, «per quanto in crisi, i giornali di carta sono quelli che contano e formano l’opinione pubblica, alimentano il dibattito. Chi legge un sito di solito non ne guarda altri, è chiuso nel suo mondo, i quotidiani “veri” sono una ricchezza nazionale».
Ben-Zvi, nato a Londra 47 anni fa, un passato di studi religiosi e militari e un presente da colono (abita nell’insediamento di Efram), non ha scoperto le carte. Non si sa quali sinergie attuerà  tra il quotidiano acquistato e il suo tabloid, nemmeno se li fonderà  in un solo giornale, né soprattutto come si muoverà  politicamente. Qualcuno ricorda che, pochi giorni prima dell’annuncio della vendita, Maariv aveva ventilato l’abbandono della carta per passare alla sola edizione online, cosa che non dovrebbe più succedere e questo è positivo. Ma come titolava ieri Haaretz («Il Paese», di sinistra), «questa operazione potrebbe scuotere l’intero mondo editoriale d’Israele e avere un forte impatto sui suoi equilibri politici».
Cecilia Zecchinelli


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