La Procura boccia il piano Ilva Scatta la protesta degli operai

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I lavoratori dell’altoforno numero 1 ieri mattina non hanno lasciato l’Ilva nemmeno quando il turno di notte è finito. Sono diventati l’avanguardia di una rivolta ancora tutta da venire e hanno cominciato le «prove tecniche» di una protesta che la settimana prossima, quando il giudice deciderà  se consentire o no un minimo di produzione, è destinata a esplodere perché (salvo sorprese) la risposta del magistrato dovrebbe essere «no». Niente produzione e spegnimento degli impianti sotto accusa nelle sei aree sequestrate.
La rabbia di ieri mattina è nata da una notte passata a lavorare e discutere: «Saremo ancora qui la settimana prossima? Cosa ci aspetta se le cose si metteranno male? Davvero l’Ilva va verso la chiusura?».
Alle nove del mattino sono più di duecento, poi sempre meno ma tengono banco fino a pomeriggio inoltrato: prima assemblea spontanea all’interno dell’azienda, nella palazzina della direzione. Poi la continuazione in strada, davanti all’ingresso dello stabilimento.
Chiedono certezze per il futuro che nessuno è in grado di dare, le chiedono soprattutto gli operai dell’altoforno uno (quello più vecchio e inquinante che sarà  spento per primo). Ce l’hanno con i custodi giudiziari che «vengono a dirci che cosa dobbiamo fare a casa nostra» e che sembrano irremovibili nella linea dello stop immediato agli impianti dell’area a caldo. Il messaggio è chiaro: fine della pazienza.
Mentre la procura conferma la bocciatura del piano di risanamento decisa dai suoi custodi, il ministro dell’ambiente Corrado Clini ipotizza un possibile conflitto con la magistratura («se fosse lo risolveremmo con quel che prescrive la legge») e premette che «l’autorizzazione che consente all’Ilva l’esercizio degli impianti compete al mio ministero non all’autorità  giudiziaria». In pratica «una promessa di salvezza», interpretano i lavoratori.


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