L’ira fa il giro del mondo

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Benedetto XVI, in Libano per la sua seconda visita in Medioriente dopo quella in Terra santa del 2009, esorta i cristiani a non aver paura e tuona contro i «fondamentalismi» Papa Benedetto XVI è in Libano per la sua seconda visita in Medioriente, dopo quella in Terra santa del 2009. Ieri, nella Basilica di Saint-Paul a Harissa, per esortare i cristiani a non avere paura in Medioriente, ha citato il Vangelo secondo Luca: «Non temere piccolo gregge» (Lc 12,32). E ricordati – ha aggiunto – della promessa fatta a Costantino: «In questo segno, tu vincerai!». E ancora: «Chiese in Medio Oriente, non temete, perché il Signore è veramente con voi fino alla fine del mondo! Non temete, perché la Chiesa universale vi accompagna con la sua vicinanza umana e spirituale!» È con questi sentimenti di speranza e di incoraggiamento a essere protagonisti attivi della fede attraverso la comunione e la testimonianza – ha proseguito -, che domenica consegnerò l’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente ai miei venerati Fratelli Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi, a tutti i sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi e ai fedeli laici. «Abbiate coraggio» (Gv 16,33)». Domani, la visita si concluderà  con una messa solenne all’aperto. Sono previsti oltre 75.000 posti a sedere, ma migliaia di persone assisteranno in piedi. All’aeroporto, sorridente ed emozionato, quindici anni dopo la visita del suo carismatico predecessore, Giovanni Paolo II, Ratzinger ne aveva ripreso l’espressione: parlando del Libano come di un «paese del messaggio» e dichiarandosi «pellegrino di pace». Oltre l’ecumenismo, il suo discorso è stato però fin dall’arrivo eminentemente politico e di battaglia. Subito ha rivolto un appello «urgente» ai responsabili religiosi ebrei, cristiani e musulmani della regione, affinché sradichino la «minaccia» del fondamentalismo che colpisce «mortalmente i credenti di tutte le religioni». Si è dfichiarato a favore della «primavera araba», che ha espresso «il grido di libertà  dei giovani» e il «desiderio di più democrazia, di più libertà , di più cooperazione, della rinnovata identità  araba». Un discorso, quello di Ratzinger, che «attinge forza dal comandamento del Risorto» e così esorta i cristiani: «Andate dunque e fate discepoli tutti popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato…» (Mt 28, 19-20). I cristiani d’Oriente ai quali si è rivolto Ratzinger, sono sparsi in 17 paesi: tra i 15 e i 20 milioni. Costituiscono minoranze inferiori al 10% della popolazione. Sola eccezione, il Libano, dove formano oltre un terzo degli abitanti. Le chiese cristiane sono una dozzina, i maroniti la comunità  più numerosa. Circa il 60% dei libanesi è musulmano. La comunità  numericamente più importante – i copti – si trova invece in Egitto. Secondo i dati del Vaticano, vivono in Medioriente (soprattutto nei paesi del Golfo) anche 3,5 milioni di cristiani originari dell’Asia o dell’Africa. Ad accogliere il pontefice al suo arrivo a Beirut, il presidente libanese Michel Sleimane (il solo capo di Stato arabo cristiano), numerosi dignitari religiosi, e un centinaio di giovani vestiti di bianco. Tutte le campane delle chiese presenti in Libano hanno suonato a festa, mentre venivano sparate 21 salve di cannone. Una visita difficile, nel moltiplicarsi di proteste, attacchi e attentati in reazione al film che ha ridicolizzato il profeta Maometto. A Tripoli, grande città  del nord, un fast-food americano è stato attaccato e incendiato da 300 manifestanti islamisti. Uno di questi è stato ucciso durante gli scontri con la polizia: «O musulmani, ditelo forte, non vogliamo il papa qui», gridavano gli islamisti. A parte quest’episodio, la visita di Ratzinger – che durerà  tre giorni – si è finora svolta senza incidenti e secondo programma. Il pontefice ha tenuto a ricordare la drammatica situazione in Siria, da cui anche molti cristiani fuggono per rifugiarsi in Libano. Ha chiesto che venga messo un termine alla consegna di armi a Damasco: «L’importazione di armi – ha detto sull’aereo che lo stava portando in Libano- deve finire una volta per tutte. Perché senza importazione di armi la guerra non potrebbe continuare». E ancora: «Invece di importare armi, atto che costituisce un peccato grave, bisognerebbe importare idee di pace, di creatività , di amore per il prossimo». Per questo: «Bisogna chiedere agli uomini politici di impegnarsi davvero con tutte le forze, con creatività , per la pace, contro la violenza».


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