«Un giovane su due senza lavoro ma l’export spingerà  l’industria»

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ROMA — È un’Italia tra luci e ombre quella che ha disegnato ieri il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, nel corso dell’audizione sulla nota di variazione al Documento di economia e finanza nelle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato.
Ombre lunghe quelle che si allungano sui più giovani. Quelli tra i 18 e i 29 anni, circa 7,7 milioni, sono occupati solo al 40,3%, mentre il 13% è alla ricerca di un’occupazione e il 46,7% è inattivo. Tra questi ultimi, in sei casi su dieci ci sono gli studenti, mentre circa un quinto «appartiene all’area dell’inattività  più contigua alla disoccupazione».
Il lavoro quando c’è è precario: sempre nella fascia tra i 18 e i 29 anni, a fronte di una riduzione del 7,3% dei dipendenti permanenti, quelli a termine sono cresciuti del 4,6% e i collaboratori del 4,7%. Ne consegue che circa un giovane su tre svolge un lavoro atipico.
È cresciuto nel primo semestre dell’anno anche il numero dei giovani Neet, cioè quelli che non studiano, non lavorano e non sono in formazione, la cui incidenza passa dal 25,3% del 2011 al 26,9%. Si tratta di 2.071.000 ragazzi, 103 mila in più rispetto al primo semestre del 2011.
Qualche luce Giovannini l’accende sulle prospettive a breve: alcuni segnali macroeconomici, il leggero recupero della fiducia delle imprese manifatturiere e delle costruzioni, la stabilizzazione della fiducia delle famiglie, l’aumento degli ordinativi industriali e i primi segnali di ripresa delle esportazioni e delle importazioni di beni intermedi e strumentali, fanno «ritenere possibile» che per il Pil 2012 ci sia «uno scenario leggermente più favorevole» del -2,4% indicato dall’aggiornamento del Def. Nella seconda parte dell’anno dovrebbe attenuarsi la caduta della produzione industriale, con un primo possibile aumento congiunturale nel corso del terzo trimestre. Così la contrazione annua dell’attività  industriale sarebbe di circa il 6%.
Intanto neanche oggi sarà  esaminato in Consiglio dei ministri il decreto sulla crescita preparato dal ministero dello Sviluppo economico. Lo si è appreso in serata, quando una nota ufficiale ha rinviato questo e altri provvedimenti a giovedì prossimo per impegni del premier Mario Monti e di alcuni ministri. Un rinvio che non ha sopito i dubbi circa la copertura economica di alcune delle misure del decreto crescita.
Ma che urgano misure per uscire dalla recessione lo dimostrano anche i dati dell’Agenzia del Territorio sulle compravendite immobiliari. Pochi soldi, mutui difficili da ottenere, scarsa fiducia nel futuro hanno determinato nel secondo trimestre dell’anno un calo di un quarto (-24,9% complessivo, -25,3% il residenziale, che è quasi la metà  del mercato). Mai così male dal 2004.
Tra le cause del crollo (-26,2% a Milano, -21,2% a Torino, -19,4% a Roma ma nell’hinterland il calo è di oltre il 30%) ci sarebbe anche l’introduzione l’anno scorso della cedolare secca sugli affitti e, quest’anno, dell’Imu, fattori che, secondo Confedilizia, stanno «ammazzando» anche il mercato degli affitti legali. A fronte del picco negativo delle compravendite, i prezzi mostrano stabilità  e, in alcuni rari casi, come a Roma, addirittura salgono, segno che gli unici a fare acquisti sono quelli che possono permettersi congrui esborsi. Risultato: il fatturato del settore cala di 10 miliardi.
Antonella Baccaro


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