«Veleni nell’acqua» Accuse al presidente della Triennale
MILANO — Ai costruttori proprietari dell’area e alle cooperative gli «ingiusti vantaggi patrimoniali»: quelli consentiti dal Comune di Milano (gestione Moratti) con la delibera nel 2007 e le autorizzazioni nel 2009 alla costruzione di un quartiere di 5 mila abitanti (più un asilo nido e un parco) nei 260.000 mq. dell’area Calchi Taeggi sull’ex Cava Geregnano, vicino alla metropolitana Bisceglie. E invece ai cittadini gli «ingiusti danni ambientali, derivanti dall’inquinamento del sottosuolo»: perché l’inizio dei lavori, senza una effettiva bonifica della cava nella quale negli anni 50-80 erano stati versati «1 milione e 800.000 metri cubi di rifiuti pericolosi e non pericolosi, tra cui farmaceutici e industriali», ha «alimentato l’espandersi di arsenico, ammoniaca e manganese nella falda acquifera con il conseguente avvelenamento delle acque, anche destinate al consumo urbano».
È questo bilancio dei saldi (per i privati) e delle passività (per cittadini) a determinare la Procura di Milano a contestare a 18 indagati, nell’avviso di conclusione delle indagini notificato ieri, le ipotesi di reato di concorso in «avvelenamento colposo delle acque» nell’area posta sotto sequestro giudiziario dal novembre 2010, «gestione di discarica non autorizzata» e «abuso d’ufficio». Tra essi ci sono non solo 2 funzionari del Comune di Milano e 3 dell’Arpa, amministratori della proprietaria Acqua Marcia (la società di Francesco Bellavista Caltagirone) e delle cooperative acquirenti (Solidarnosc e Nives), tecnici delle società incaricate della messa in sicurezza, ma anche il «proprietario-committente-promotore del Piano di intervento» urbanistico: Claudio De Albertis, presidente dei costruttori dell’Assimpredil, neopresidente (non senza scintille tra l’assessore Boeri alla Cultura, «perplesso», e il sindaco Pisapia) della Triennale di Milano, uno dei più importanti poli culturali della città .
Il cuore della contestazione del pm Paola Pirotta ruota attorno alla «consapevolezza» degli indagati che «l’area non era stata effettivamente bonificata» e «non erano state effettuate corrette tecniche di sbarramento degli inquinanti derivati dall’ex discarica». Le autorizzazioni del Comune il 14 maggio 2009 alle due proprietà , «in conformità al progetto operativo per la bonifica e messa in sicurezza del 31 dicembre 2008», sarebbero state rilasciate dagli allora responsabili del Servizio bonifiche del Comune «con la consapevolezza che esso non prevedeva l’effettiva bonifica della discarica»; mentre il nulla osta concesso il 27 luglio 2010 a «opere di fondazione e attività edificatoria» sarebbe intervenuto «senza nemmeno il completamento degli step precedenti». Al contrario, sarebbero stati disattesi il parere della Regione Lombardia che il 17 dicembre 2002 aveva «sottoposto la fattibilità alla condizione che il sito non fosse classificabile come inquinato»; e la bocciatura della Conferenza dei Servizi del 5 marzo 2003 che aveva «respinto il progetto» per lo «stato reale della contaminazione da rifiuti del sito».
La società di De Albertis, controbatte l’avvocato Giovanni Bana, «ha operato correttamente. Nel 2005 acquistò l’area per cui era già stata eseguita la “caratterizzazione”, ed erano stati emessi pareri dei competenti organi amministrativi sulla modalità di bonifica con “messa in sicurezza permanente”. Su questa base, avvalendosi di società leader nel settore, ha avviato il progetto di bonifica approvato nel maggio 2009 da parte di tutti gli enti interessati. Per l’intervento dell’autorità giudiziaria non sono stati completati i lavori di bonifica», che erano «quotidianamente monitorati da Arpa e Asl, con la convocazione mensile di un Osservatorio aperto a rappresentanti di zona, comitati e associazioni ambientaliste».
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