Meno carne, più legumi a km zero ecco la dieta che salva le foreste

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Usare la forchetta per difendere l’ambiente. Scegliere il menu con un occhio al piatto e uno alla protezione delle foreste evitando i prodotti che moltiplicano la devastazione delle aree pluviali. È la proposta lanciata da Slow Food nel presentare il doppio appuntamento di fine ottobre: Salone del gusto e Terra madre.
L’elenco dei piatti che aumentano il rischio ambientale è lungo. Si comincia con i gamberetti provenienti dagli allevamenti asiatici che si sono fatti spazio eliminando le mangrovie a difesa delle coste: lo scudo verde è saltato e le conseguenze si sono viste in occasione dello tsunami del 26 dicembre 2004. Seguono la soia (in molti casi transgenica) coltivata bruciando la foresta tropicale, e i prodotti che usano olio di palma non certificato (spesso responsabile della distruzione delle foreste torbiere).
Nel mirino comunque non ci sono solo i singoli prodotti ma anche le scelte alimentari che minano l’equilibrio delle aree tropicali. Dunque più legumi e meno carne, perché l’allevamento, soprattutto quello intensivo e di bovini, richiede grandi superfici destinate al pascolo oppure alla coltivazione di soia o mais per la produzione dei mangimi e sempre più spesso pascoli e coltivazioni si ricavano a scapito delle foreste.
E ancora: più attenzione al locale, che permette di misurare meglio le conseguenze delle scelte agricole, e selezione attenta dei cibi globali premiando la catena dell’equo e solidale; niente verdure fuori stagione che alimentano richieste esotiche capaci di squilibrare mercati lontani; niente packaging con imballaggi non certificati che possono utilizzare materiali prodotti a scapito delle foreste.
«Serve una diversa politica alimentare per cambiare il mondo e dare una risposta concreta alla crisi economica», ha detto Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, annunciando i cinque giorni di convegno all’insegna dello slogan “i cibi che cambiano il mondo”. «Dobbiamo lottare per un nuovo modello che sostiene l’educazione alimentare, tutela il territorio, promuove la diffusione di orti comunitari e ridà  valore al lavoro dei contadini». A sostegno delle richieste, Slow Food ha offerto una sintesi della pressione che sta minando l’equilibrio delle aree tropicali. La sicurezza alimentare di un miliardo di persone dipende direttamente dalle foreste, ma nell’ultimo decennio ne sono spariti 13 milioni di ettari l’anno. Un disastro che ha riflessi non solo a livello locale (cambiamenti del microclima, avanzata dell’area arida), ma anche a livello planetario, visto che le emissioni serra prodotte dalla deforestazione danno un robusto contributo all’aumento del rischio climatico.
«L’attacco alle foreste è particolarmente violento in Africa, dove la pratica del land grabbing, il furto di terra praticato da multinazionali e da Stati, ha raggiunto livelli drammatici», aggiunge Petrini. «Nel 2010 abbiamo lanciato la proposta mille orti in Africa proprio per contrastare questa tendenza. Questi mille orti sono stati creati e abbiamo messo in piedi centri di formazione per gli agronomi in 26 paesi africani. Ora bisogna accelerare puntano a 10mila orti per difendere il modello tradizionale e fermare lo stravolgimento degli equilibri agricoli prodotto dalla monocoltura dell’export e dalla pioggia di chimica intensiva».


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