Morte di Gheddafi, si riapre il giallo

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TRIPOLI — Sarebbe stato un «agente straniero» e non le brigate rivoluzionarie libiche a sparare il colpo di pistola alla testa che avrebbe ucciso Muammar Gheddafi il 20 ottobre 2011 alla periferia di Sirte. Non è la prima volta che in Libia e all’estero viene messa in dubbio la versione ufficiale e più diffusa sulla fine del Colonnello. Ma ora è lo stesso Mahmoud Jibril, ex premier del governo transitorio e al momento in lizza per la guida del Paese dopo le elezioni parlamentari del 7 luglio, a rilanciare la versione del complotto ordito da un servizio segreto estero. «Fu un agente straniero infiltrato nelle brigate rivoluzionarie a uccidere Gheddafi», ha dichiarato due giorni fa all’emittente egiziana Dream Tv al Cairo, dove si trova per partecipare ad un dibattito sulle Primavere arabe. Non solo il linciaggio da parte dei ribelli dunque, ma anche un sicario. Tra gli ambienti diplomatici occidentali nella capitale libica il commento ufficioso più diffuso è che, se davvero ci fu la mano di un agente al servizio degli 007 stranieri, questa «quasi certamente era guidata dai francesi». Con un commento: «È un segreto di Pulcinella che a Parigi volevano eliminare il Colonnello».
Il ragionamento è noto. Fin dall’inizio del sostegno Nato alla rivoluzione, fortemente voluto dal governo di Nicolas Sarkozy, Gheddafi minacciò apertamente di rivelare i dettagli dei suoi rapporti con l’ex presidente francese, compresi i milioni di dollari versati per finanziare la sua candidatura e la campagna alle elezioni del 2007. «Sarkozy aveva tutti i motivi per cercare di far tacere il Colonnello e il più rapidamente possibile», ci hanno ripetuto ieri fonti diplomatiche europee a Tripoli. Questa tesi è rafforzata dalle rivelazioni raccolte dal Corriere quattro giorni fa a Bengasi. Dove Rami El Obeidi, ex responsabile per i rapporti con le agenzie di informazioni straniere per conto del Consiglio nazionale transitorio (l’ex organismo di autogoverno dei rivoluzionari libici) sino alle metà  del 2011, ci ha raccontato le sue conoscenze sulle modalità  che permisero alla Nato di individuare il luogo in cui si era nascosto il Colonnello dopo la liberazione di Tripoli per mano dei rivoluzionari tra il 20 e 23 agosto 2011. «Allora si riteneva che Gheddafi fosse fuggito nel deserto e verso il confine meridionale della Libia assieme a un manipolo di seguaci con l’intenzione di riorganizzare la resistenza», spiega El Obeidi. La notizia era ripetuta di continuo dagli stessi rivoluzionari in armi, che avevano intensificato gli attacchi sulla regione a sud di Bani Walid e verso le oasi meridionali. In realtà  Gheddafi aveva trovato rifugio nella città  lealista di Sirte assieme al figlio Mutassim, che comandava le ultime brigate scelte ancora combattenti. Aggiunge El Obeidi: «Qui il raìs cercò di comunicare tramite il suo satellitare Iridium con una serie di fedelissimi fuggiti in Siria sotto la protezione di Bashar Assad. Tra loro c’era anche il suo delfino per la propaganda televisiva, Yusuf Shakir (oggi sarebbe sano e salvo in incognito a Praga). E fu proprio il presidente siriano a passare il numero del satellitare di Gheddafi agli 007 francesi». Il motivo? «In cambio Assad avrebbe ottenuto da Parigi la promessa di limitare le pressioni internazionali sulla Siria per cessare la repressione contro la popolazione in rivolta». Localizzare l’Iridium del dittatore con i gps sarebbe poi stato un gioco da ragazzi per gli esperti della Nato. Se ciò fosse confermato, potremmo dedurne che quello il primo passo che portò alla tragica fine di Gheddafi poche settimane dopo.


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