Onu, l’assemblea degli esordienti il blitz di Obama senza bilaterali

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NEW YORK— Ci saranno molti leader nuovi a presentarsi sul palcoscenico annuo dell’assemblea generale Onu: da Mario Monti a Franà§ois Hollande, al presidente egiziano Mohamed Morsi. C’è già  stato un assaggio delle consuete “provocazioni” di Mahmoud Ahmadinejad, comprese le nuove minacce di morte contro Salman Rushdie. Il meno visibile di tutti quest’anno sarà  proprio Barack Obama, che parla stamattina ma non farà  incontri bilaterali e ha ridotto ai minimi termini la sua presenza al Palazzo di Vetro. La spiegazione: la campagna elettorale. Non solo perché al presidente americano conviene spendere più tempo fra gli elettori ancora indecisi come quelli dell’Ohio. Ancora più importante, nel ridurre a un blitz questo passaggio di Obama all’Onu, è il clima internazionale che non gli giova.
Quest’assemblea si apre a ridosso delle violente proteste contro il “film anti-musulmano”, con quattro funzionari Usa uccisi in Libia. In Siria continuano le stragi del regime, sotto gli occhi di un Occidente impotente. Tutto il bilancio delle “primavere arabe”, e quindi della strategia di Obama che le ha appoggiate, è un punto di attacco per il candidato repubblicano Mitt Romney. Anche se Obama oggi rivendicherà  con forza la giustezza delle sue scelte, non ha interesse a prolungare la sua presenza in mezzo a un’assemblea così ricca di voci ostili.
Morsi ha dato un assaggio di questo clima con un’intervista al New York Times, poche ore prima di lasciare il Cairo per volare a New York. La sua accusa più pesante: «Le successive amministrazioni americane — ha detto il presidente egiziano — si sono comprate l’odio dei popoli della regione, pagandolo con i soldi del contribuente ». Morsi ha difeso così l’antiamericanismo che fa da terreno di coltura per le manifestazioni degli ultimi giorni: una conseguenza di decenni di appoggio Usa a tanti dittatori del mondo arabo. Ha elogiato Obama solo per avere sostenuto «velocemente e con determinazione » le primavere arabe. Ma ha ribadito che l’Egitto e tutto il mondo arabo giudicheranno l’America sulla sua fedeltà  all’impegno per l’autogoverno del popolo palestinese (accordi di Camp David del 1978).
Il presidente iraniano invece era già  arrivato a New York quando ha sparato le prime bordate. «Noi non prendiamo sul serio le minacce dei sionisti », ha detto Ahmadinejad alludendo allo scenario di un attacco israeliano contro gli impianti nucleari di Teheran. Ha subito aggiunto però che l’America sarà  tenuta per responsabile in caso di attacco: «Tutti gli equilibri della regione sarebbero sconvolti». Ha poi definito lo Stato d’Israele «in una condizione terminale». Ha detto che «l’economia iraniana sta meglio di quelle europee, nonostante le sanzioni». Infine si è concesso un’ironia crudele sullo scrittore Salman Rushdie, che dal 1989 è sotto la minaccia di morte di una fatwa iraniana. Ai giornalisti che gli chiedevano se quella fatwa è sempre valida, Ahmadinejad ha risposto: «È qui negli Stati Uniti? Non dovreste farlo sapere. Se è negli Stati Uniti vi conviene non dirlo, per la sua sicurezza ».
L’Assemblea generale oggi ha la sua giornata più importante, e sullo sfondo c’è il rapporto appena presentato dal nuovo inviato speciale dell’Onu in Siria, Lakhdar Brahimi, ex ministro degli Esteri algerino. Dopo l’ennesima strage di civili ad Aleppo, inclusi quattro bambini, Brahimi ha parlato di “stallo”, ha escluso che ci siano le condizioni per un disgelo diplomatico, ha descritto un presidente Bashar al-Assad deciso a proseguire sulla strada della repressione violenta. È in questo clima che il
New York Times ha ospitato un’analisi di Pankaj Mishra sulla “Ritirata inevitabile dell’America dal Medio Oriente”. Non è il viatico migliore per un presidente in lotta per la rielezione.


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