Pechino, il mistero di Xi scompare il leader designato

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NEW YORK — La prima a lanciare l’allarme è stata Hillary Clinton al ritorno da una tournée in Asia: dov’è sparito il vicepresidente e futuro (presunto) numero uno cinese? Il segretario di Stato Usa doveva incontrare proprio Xi Jinping a Pechino, un vertice circondato da attese e tensioni, improvvisamente cancellato. La Clinton all’inizio ha pensato a uno sgarbo “mirato” contro di lei. La settimana scorsa infatti Pechino ha criticato la sua missione asiatica accusandola di “seminare zizzania” tra nazioni vicine, sui giacimenti offshore contesi. Sarebbe stato un brutto incidente diplomatico, nell’ultima grande occasione di dialogo bilaterale a due mesi dall’elezione presidenziale Usa. Secondo le previsioni, prima ancora che l’America vada al voto, Xi è destinato a diventare segretario generale del partito comunista, sostituendo Hu Jintao.
La Clinton ha dovuto ricredersi quando ha appreso che Xi ha cancellato in extremis ogni altro incontro, di cui tre con altrettanti ospiti stranieri: il primo ministro di Singapore, la premier danese, un inviato di Vladimir Putin. Il vicepresidente è svanito, non si è visto neppure a una riunione della potente commissione militare, l’anello di congiunzione tra i leader politici e le forze armate.
Al rientro della Clinton in America, da Pechino sono rimbalzate le voci più fantasiose o inquietanti. La versione più bonaria spiega la scomparsa di Xi con un brutto mal di schiena, uno strappo muscolare subito nuotando o giocando a pallone. Altre indiscrezioni parlano di un attacco cardiaco, forse legato alla dieta feroce cui il 59enne
Xi si sottopone da mesi per apparire “in forma” al momento del passaggio delle consegne. Una teoria del complotto, la meno accreditata, evoca un attentato contro Xi, ordito da militari al servizio di una fazione avversa del partito comunista. A dare qualche credibilità  alle dietrologie c’è la catena di scandali che ha colpito la nomenklatura cinese negli ultimi mesi. Il più grave è stato “l’affaire Bo Xilai”: l’ex capo del partito nella città  di Chongqing, che aveva ambizioni nazionali, è stato travolto per le accuse di corruzione; sua moglie è condannata all’ergastolo per avere ordito l’uccisione di un uomo d’affari inglese. Più di recente un altro scandalo ha travolto Ling Jihua, un astro nascente vicino all’attuale presidente Hu Jintao. Le dimissioni improvvise di Ling sono giunte a fine agosto, dopo che il figlio si è ucciso al volante della sua Ferrari sulla tangenziale di Pechino. Nell’incidente sono rimaste gravemente ferite due donne che viaggiavano con lui e che nei resoconti della polizia vengono descritte come «seminude».
Sul giallo dei numerosi impegni ufficiali cancellati dal vicepresidente Xi, il governo cinese si è rifiutato finora di dare spiegazioni: un comportamento che eccita la fantasia dei cinesi, oltre che dei diplomatici stranieri e del Dipartimento di Stato Usa. Il ministero degli Esteri a Pechino ha perfino negato che fosse in programma l’incontro tra Xi e la premier danese Helle Thorning-Schmidt; evento per il quale lo stesso ministero aveva diramato inviti a giornalisti e fotografi la settimana prima. Un giornale del partito comunista ha pubblicato in prima pagina la foto di un incontro tra Xi e una scolaresca: ma la cerimonia risale al primo settembre. La censura di Stato ha bloccato su alcuni blog le ricerche relative a “mal di schiena”. L’opacità  si estende alla data prevista per il passaggio delle consegne. In teoria dovrebbe avvenire al
18esimo congresso del partito, che sempre in teoria dovrebbe riunirsi a Pechino in ottobre. Ma l’ultimo congresso che si tenne in ottobre era stato annunciato nell’agosto precedente, mentre quest’anno non c’è traccia della convocazione. Abbondano quindi i segnali che questo passaggio generazionale non è ben programmato e indolore come sembrava fino a pochi mesi fa.
Per gli Stati Uniti un’eventuale crisi politica al vertice della Repubblica Popolare non è motivo di compiacimento. Qualsiasi lotta al vertice rischia di peggiorare un situazione economica già  delicata: il mese scorso il commercio estero della Cina ha subito una contrazione brutale, analoga a quella che si verificò nella crisi del 2008. La Clinton ha lasciato trasparire le preoccupazioni dell’Amministrazione Obama: «Gli Stati Uniti cercano una risposta nuova agli interrogativi che si aprono quando una potenza già  consolidata incrocia l’ascesa di una potenza emergente. Una Cina forte, prospera e pacifica è nel nostro interesse».


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