Praga, morti distillate

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PRAGA. Il venerdì sera scorso tirava un’aria insolita nelle osterie e nelle birrerie di Praga. Il ministro della Salute Leos Heger, infatti, annunciava dagli schermi televisivi l’inizio della proibizione di molte bevande alcoliche. «Con questo annuncio entra in vigore con effetto immediato il divieto di vendere e servire le bevande con un tasso alcolico superiore al 20%», dichiarava il ministro, stroncando così il rituale del venerdì sera, spesso consacrato a incontri e bevute con gli amici.

L’emanazione del divieto proibizionista è stata una reazione a sorpresa alle morti dovute a intossicazione da alcol adulterato. Negli ultimi dieci giorni sono morte più di 20 persone per aver ingerito delle bevande contenenti il metanolo, una sostanza tossica prodotta durante la fabbricazione di alcol puro da quello denaturato, che gode di una tassazione più favorevole rispetto all’alcol per uso alimentare. Inoltre sono rimaste gravemente intossicate alcune decine di persone, molte delle quali in seguito hanno perso la vista.
Il governo ha reagito alla situazione con una certa lentezza. Nei primi giorni della diffusione dei casi di intossicazione il capo del governo, Petr Necas, aveva dichiarato di tenere alta la guardia, ma di non voler prendere delle misure eccezionali. Con l’andare dei giorni e con il rapido aumento delle vittime il governo però ha cominciato a prendere dei provvedimenti: giovedì era arrivato il divieto di vendere e servire gli alcolici nei punti vendita ambulanti, divieto che il giorno dopo è stato esteso a tutti i negozi e i locali pubblici.
Un certo ritardo del governo non è stato causato solo dalla preoccupazione di un calo del gettito dell’Iva e delle accise, che negli ultimi mesi ha registrato un valore ampiamente inferiore alle previsioni del ministero delle finanze. Il governo, naturalmente, è stato anche influenzato dalle pressioni delle aziende produttrici delle bevande alcoliche che temono una ripercussione profonda sia sulle vendite che in termini d’immagine.
«Pensiamo di portare le istituzioni statali in tribunale, in quanto il divieto ci porterà  sul lastrico», dice Tomà¡s Kolà¡cek, della Likérky v Odrà¡ch situata nel nord Moravia, una delle regioni più colpite dall’intossicazione.
Intossicazione per i poveri, profitti per i ricchi
Secondo i produttori, il mercato nero dell’alcol ripulito per scopi alimentari è stato a lungo tollerato dalle istituzioni statali e dalla polizia in primis. Una critica ripresa anche dalle opposizioni di centro-sinistra, che puntano il dito contro il ministro delle finanze Miroslav Kalousek. Quest’ultimo tuttavia si difende snocciolando alcune cifre. «L’anno scorso la direzione delle dogane ha effettuato più di diecimila controlli e ha scoperto circa 1500 ettolitri di etanolo contraffatto, stimando un danno erariale per 43 milioni di corone. Fino a settembre sono già  stati fatti più di ottomila controlli, che hanno portato al sequestro di 1300 ettolitri», sostiene il ministro.
Ma oltre alla dimensione propagandistica di Kalousek, le cifre mostrano la pochezza dell’azione delle autorità . Se infatti in ogni controllo sono stati sequestrati in media tra i 150 e 170 litri di etanolo, ciò significa che l’azione di polizia colpisce soprattutto i distributori medio-bassi dell’alcol contraffatto, lasciando indisturbati i grandi produttori.
Inoltre le indagini stanno scoperchiando una realtà  ben più complessa, mostrando come nel campo della produzione degli alcolici i ruoli non siano affatto scontati. Emerge infatti che l’alcol tossico è stato distribuito a decine di produttori detentori di una regolare licenza, i quali l’hanno usato per distillare le bevande destinate al mercato ufficiale. Insomma il metanolo ha messo in luce una certa contiguità  tra il mercato nero e quello ufficiale, tra i produttori certificati e i contraffattori.
Viene così smentita la prima versione circolata sui media cechi che ascriveva il fenomeno a un consumo smodato di bevande contraffatte o fatte in casa da parte dei ceti più poveri della società  ceca. Infatti la regione con il maggior numero di vittime, il nord Moravia, è tra le zone più disagiate del paese a causa della pesante ristrutturazione industriale degli anni ’90 e anche la maggior parte delle vittime appartiene a ceti medio-bassi. La ragione profonda di questa specificità  di classe delle vittime consiste nel fatto che la maggior parte dei produttori cechi mira a un segmento di mercato medio-basso. L’utilizzo di alcol adulterato ha fin’ora rappresentato per i produttori uno strumento poco rischioso per aumentare i loro profitti.
Un proibizionismo liberale
L’emergenza dell’alcool adulterato sta facendo da volano a un proibizionismo liberale e liberista che vede nell’uso dell’alcol un pericolo per le casse statali e non solo. «Io sostengo quanto detto dal primo presidente cecoslovacco Masaryk, ossia che nella concorrenza dei popoli vinceranno quelli più astemi. E guardi, già  questo si sta avverando in quanto la forza di lavoro asiatica sta sempre più rimpiazzando i lavoratori europei che fanno un uso maggiore degli alcolici», ritiene Karel Nespor, medico primario di additologia all’Ospedale psichiatrico di Praga-Bohnice. Sebbene l’eccentrica lettura della globalizzazione da parte di Nespor rimanga isolata, il proibizionismo liberale concepisce il rapporto tra il bere alcolici e la salute non in termini di una ricerca del benessere ma lo riduce a una questione di costi sanitari. Secondo i proibizionisti liberali, l’uso dell’alcol è determinato da una decisione personale e dovrebbe quindi essere monetarizzato come accade nel caso delle polizze assicurative. Rispetto a un proibizionismo conservatore, la disciplinazione dei corpi dovrebbe avvenire tramite stimoli finanziari e non regolazioni legislative
Una lettura che semplicemente chiude gli occhi dinnanzi ai fattori sociali che favoriscono l’uso di sostanze alcoliche. Infine va anche considerato che l’alcol e le sostanze psicotrope talvolta rappresentano l’unica via di uscita, per quanto temporanea, dalla fatica e dall’alienazione della vita produttiva.
Alcol: una questione di cultura
«L’alcool fa parte della nostra cultura, ad esempio in Moravia la vendemmia o la distillazione della slivovice fanno parte di un rituale collettivo e di una tradizione molto profonda», dice l’etnologo Mnislav Zeleny, illustrando il rapporto stretto dei cechi con gli alcolici, il cui consumo non è diminuito neanche dopo la diffusione delle notizie sull’intossicazione di massa. Un rapporto che non fa parte soltanto della cultura popolare e dei ceti bassi, come mostra la letteratura nata in queste terre. E’ stato soprattutto nel Novecento che gli scrittori cechi hanno sottolineato nella loro produzione il ruolo dell’alcol, visto come una sostanza che libera la fantasia e la capacità  di comprensione della realtà . Tra i più famosi si possono citare Jaroslav Hasek, nel cui romanzo Il buon soldato Svejk, spicca la figura del cappellano militare Katz in servizio permanente nei postriboli e assiduo frequentatore di belle donne. Oppure Bohumil Hrabal che accompagna il suo lettore in bevute di ogni tipo: dai banchetti innaffiati di vini pregiati e cognac d’annata del romanzo Ho servito il Re d’Inghilterra alle feste ben più popolari de La Tonsura, dove non mancano la birra e i liquori fatti in casa. D’altronde lo stesso procedimento narrativo di Hrabal, lo pabitelstvi, in cui l’irreale diventa realtà , è difficilmente pensabile senza la birra o le acquaviti locali, che trasportano il racconto in una dimensione onirica e spesso paradossalmente esplicativa di una concreta realtà  storica. Infine c’è il poeta e romanziere Egon Bondy che dell’uso dell’alcool ha fatto una parte importante del suo stile di vita da beatnik cecoslovacco degli anni ’50 prima, e da contestatore da sinistra della normalizzazione negli anni ’70 e ’80.
La cultura ceca, in tutti i suoi meandri, ha quindi dovuto fare i conti con questo suo compagno di viaggio. Perciò c’è da aspettarsi che nonostante la proibizione e un certo pericolo reale, nel paese si continuerà  a bere una quantità  elevata di bevande cosiddette superalcoliche. Se ne rendono conto anche le autorità  ritenendo che un periodo troppo lungo di proibizione porterebbe allo sviluppo di un mercato nero che non scomparirebbe una volta tornata la normalità . Ed è probabilmente questa l’insidia più grande di un provvedimento biopolitico radicale e affrettato che sembra non aver fatto i conti con le attitudini e la cultura di un popolo abituato ad accompagnare la sua vita con le acquaviti di ogni specie.

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Storia e culture di liquori e fernet

I liquori e le acquaviti caratterizzano molte della regioni ceche, diventando una parte importante dell’identità  dei territori.
Tra le più famose acquaviti c’è la slivovice, una denominazione a lungo contesa con i serbi, che ne rivendicano l’origine. Questa acquavite di prugne viene prodotta soprattutto nei Carpazi e nel nord Moravia, dove vengono distillati anche altri tipi di frutta, dalle pere alle pesche passando per le albicocche e le mele. Un altro distillato border line è la borovicka, che viene prodotta lungo il confine con la Slovacchia. Anche in questo caso la contesa per la denominazione fu lunga e travagliata, ma alla fine la spuntarono gli slovacchi, ottenendo diverse denominazioni protette a livello europeo.
La Boemia è invece caratterizzata da liquori a base di erba, la cui ricetta spesso risale all’Ottocento, come nel caso più famoso, la Becherovka. Una discendenza binazionale invece caratterizza il fernet, la cui ricetta è stata inventata dal piemontese Lionello Stock.
Un liquore diventato indigeribile a molti operai friulani, dopo che nella primavera di quest’anno l’azienda ha deciso di chiudere lo storico stabilimento triestino, trasferendo tutta la produzione di fernet nella città  boema di Pilsen, culla della ben più conosciuta birra.

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C’è un legame tra malessere sociale e tasso alcolico
 Un popolo che beve alla ceca

Il consumo annuale pro capite si aggira attorno ai 15 litri di alcol puro, un dato che è secondo in Europa solo al Lussemburgo PRAGA
Il rapporto tra la trasformazione economica e sociale dovuta al crollo delle economie pianificate e l’aumento dell’uso dell’alcol nei paesi dell’ex Patto di Varsavia è stato lungamente discusso. Fu senz’altro evidente nella Russia post-sovietica dove secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità  (OMS) il combinato disposto del malessere sociale e del tracollo del servizio sanitario portò a una significativa riduzione dell’aspettativa di vita.
Parzialmente il fenomeno si verificò anche negli altri Paesi dell’Est. Sempre secondo l’OMS proprio in Repubblica Ceca ci fu un rapido aumento del consumo dell’alcol nella seconda metà  degli anni ’90, quando fu all’apice la ristrutturazione del tessuto produttivo e industriale. Si tratta di una tendenza registrabile anche negli altri Paesi dell’Est, dove l’emorragia e la delusione sociale presero piede soltanto alcuni anni dopo il crollo dei vecchi regimi. Da quel periodo in Repubblica Ceca il consumo annuale pro capite si aggira costantemente intorno a 15 litri di alcol puro, un dato secondo in Europa solo a quello del Lussemburgo. Si ferma invece intorno a 10 litri di alcol puro a persona il consumo in Polonia, Ucraina, Russia e Bulgaria. La differenza è tuttavia ampiamente spiegabile dal fatto che i dati statistici non prendono in considerazione l’economia informale che si sviluppa intorno alla produzione e allo scambio di questo tipo di bevande.
Il bere rimane ancora largamente una faccenda di uomini. Mentre circa la metà  delle donne ceche non ha assunto alcol negli ultimi dodici mesi o è totalmente astemia, tra gli uomini questa proporzione scende al 20%. E anche le quantità  di alcol assunto varia notevolmente: in media gli uomini – bevitori assumono una quantità  doppia di alcol puro delle donne-bevitrici. Purtroppo questa sproporzione, confermata in maniera ancora più pronunciata negli altri paesi della regione, si ripercuote fortemente sui rapporti tra i generi: l’uso di alcol è infatti tra le cause più frequenti dei casi di violenza domestica e dei divorzi.


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