Primarie, albo pubblico e voto a 16 anni
ROMA — Per votare alle primarie basterà aver compiuto sedici anni. Si dovrà donare al centrosinistra un obolo di due euro o più e lasciare il proprio nome, cognome, indirizzo e mail, che finiranno in un albo pubblico (e computerizzato) degli elettori progressisti. Il regolamento ufficiale è ancora da scrivere, ma almeno a grandi linee la sfida tra Bersani e Renzi comincia a definirsi. Il leader del Pd ne ha discusso con i suoi e si è ancor più convinto che gli elettori «debbano metterci la faccia». D’altronde, è la tesi di Bersani, «come il Pd ha deciso di cedere sovranità » ai suoi sostenitori, così gli elettori devono «assumersi una responsabilità nel sostegno al centrosinistra». E poi, quando si trattò di incoronare Romano Prodi, l’elenco pubblico c’era già …
Matteo Renzi dovrà mettersi il cuore in pace, sull’albo il segretario non molla. Ha troppa paura dell’effetto «batman», quei dirigenti del Pdl a cui potrebbe venire voglia di inquinare le primarie per condizionare le politiche. Come dice Matteo Orfini, responsabile Cultura e informazione in segreteria, «nessuno pensa di limitare la partecipazione degli italiani alle primarie, ma chiediamo ai nostri elettori un gesto di responsabilità ». E se a un cittadino deluso da Berlusconi venisse voglia di votare alle primarie? «È auspicabile che gli elettori del Pdl cambino idea — apre Orfini —. Se non hanno paura di dire che non sono più di centrodestra, iniziano a far parte di un progetto alternativo». Si voterà domenica 25 novembre o una settimana più tardi, il 2 dicembre. E se Renzi, come parte del Pd, vuole il turno unico, Bersani insiste perché la competizione si svolga in due tornate. Certo, le regole dovranno essere discusse dall’assemblea nazionale del Pd il 6 ottobre e poi approvate dagli alleati, Sel in primis. Ma la bozza c’è. Oggi per la prima volta si vedranno gli «sherpa» che i partiti hanno incaricato di scrivere le regole: Maurizio Migliavacca per il Pd, Francesco Ferrara per Sel e Marco Di Lello per il Psi. Fosse per i socialisti, ogni elettore dovrebbe sborsare dieci euro e ogni partito non potrebbe schierare più di due candidati. E poi, come spiega Di Lello, all’albo toccherebbe iscriversi «una settimana prima». Questo però, temono i democratici, rischia di restringere troppo la platea dei votanti, il che renderebbe inevitabili i confronti con le primarie di coalizione di Prodi: nel 2005 gli italiani che fecero la fila ai gazebo furono oltre quattro milioni. Se si punta a eguagliare quei numeri c’è una sola via e cioè che registrazione e voto avvengano contestualmente.
Sul voto agli stranieri, dopo lo scandalo dei cinesi in coda a Napoli il dibattito è aperto. Ma il nodo è Renzi, che a norma di Statuto deve ottenere una deroga per poter scendere in campo. Autorevoli dirigenti del Pd vorrebbero non dargliela affatto, la deroga. Bersani però si è impegnato pubblicamente e indietro non può tornare. Ecco perché ieri in segreteria si è deciso di fissare rigide «soglie di accesso». Il come è ancora allo studio. Se si dovesse applicare alla virgola la carta fondamentale del partito, per candidarsi servirebbe la firma di 350 membri dell’assemblea o di 120 mila iscritti: soglie altissime, che gli «sherpa» saranno costretti ad abbassare. E ieri è tornato a farsi sentire Romano Prodi. Con una nota della portavoce Sandra Zampa l’ex premier ha fatto sapere che voterà alle primarie, ma non dirà per chi. E dopo aver smentito di puntare al Quirinale, ha chiarito che la presenza del suo ex collaboratore Ernesto Carbone nello staff del sindaco non è un endorsement per Renzi: «L’opzione a favore di questo o quel candidato non riguarda in alcun modo il presidente». Bersani può tirare un sospiro di sollievo.
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