Prof, sedicenni e “spie” dei rivali ecco il melting pot del Renzi show

by Sergio Segio | 26 Settembre 2012 6:57

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ROMA — Cambio di prospettiva. La campagna elettorale di Matteo Renzi bisognerebbe provare a guardarla dal palco: spalle al protagonista e occhi negli occhi al pubblico. Proprio come fa il fotografo — bravissimo — che ad ogni tappa dà  il visto si stampi ad un’immagine sempre uguale e ogni volta diversa: Matteo di spalle, camicia bianca e pantaloncini affusolati, che parla alla folla inquadrata di prospetto e col grandangolo, assiepata nei teatri e nelle piazze. Effetto: un uomo solo e la moltitudine. Nelle foto gli sguardi delle cuoche della festa di Ravenna, i capelli col gel dei ragazzini di Monza, la messa in piega delle anziane signore del Politeama di Varese, i giovanotti con la borsa a tracolla e le insegnanti trentenni dell’Auditorium di Roma. Una foto, lo sa bene Renata Polverini, può decretare l’inizio e la fine di ogni cosa. Molto più delle cronache di giornale, delle analisi, dei mille commenti in chat. Una foto che dice, per esempio, che nell’autunno in cui alle Feste del Pd si è segnato il minimo storico di presenze (perché erano tante e tutte insieme, certo, perché faceva freddo e pioveva, sì, perché alle feste ci vanno solo i militanti mentre nei teatri e nelle piazze ci vanno tutti, d’accordo) ecco negli stessi giorni, però, guardate bene in faccia la platea di Renzi. Di qua, ai dibattiti di partito, militanti di mezza età  inoltrata seduti composti sulle sedie. Di là  ai comizi di Matteo, giovani e vecchi seduti ovunque, per terra e sulle scale, amici nemici e curiosi, addetti stampa degli avversari venuti a prendere appunti con l’Iphone e ragazzini non ancora in età  di voto che “mi interessa perché domani c’è assemblea, a scuola, e così racconto cosa dice”. Potete non crederci, che ci siano sedicenni che vanno in gruppo ad ascoltarlo, ma ci sono. A Ravenna è venuto a sentire il parrucchiere del paese vicino, Alfonsine, che “le ragazzine sono pazze di lui, vorrei capire perchè”. A Forlì la cuoca della Festa dell’Unità  “che potrebbe avere l’età  di mio nipote mi fa tanta tenerezza, mi dà  speranza”. A Monza l’imprenditore ex socialista “che non so, ci devo pensare ma certo la destra ormai fa schifo e a sinistra ci sarà  pure qualcuno che non parla solo la lingua della Fiom”. A Varese, culla leghista, la vecchina coi capelli blu che vorrebbe farsi autografare la sua foto “perché mi piace un casino”.
Dice così, la settantenne: un casino. Certificato dai video.
Visto dal palco, letto negli occhi di chi guarda, lo show di Renzi funziona. Fa ridere e scalda, coinvolge, non annoia. Perché questo sono, i comizi di Renzi. Uno spettacolo: un format studiato nei dettagli — colori sul palco, rosso e blu come Obama, luci, regia, quattro pillole di video, sempre le stesse, tre o quattro immagini che lui chiama sul maxischermo a comando con la confidenza del tu all’interlocutore invisibile alla consolle: “mi dai Curiosity?, ce l’abbiamo?”. Certo che ce l’abbiamo, che domande. Ecco Curiosity, il rover della Nasa che cammina su Marte, “ho controllato, è costato meno dei lavori alla Salerno Reggio Calabria”. Risate, applausi. Le battute sono sempre le stesse, dall’ampolla del dio Po all’alzate la mano se pensate che spendiamo troppo per il pubblico impiego. Le pillole in video anche, scelte con sapienza televisiva: alleggeriscono, emozionano. Arrivano dove lui da solo non arriverebbe.
Troisi che a “ricordati che devi morire” risponde “ora me lo segno”, per dire dello sconfittismo di certa sinistra, riscatta anni di cupezza nei cinquantenni che “Non ci resta che piangere” lo videro in prima visione. Cetto La Qualunque nella gag dello scontrino fiscale scatena i ventitrentenni dello sciagurato ventennio della furbizia al potere. Will Smith che dice al ragazzino “non permettere a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa” illanguidisce le giovani madri e le nonne.
Crozza con l’orsetto che fa il verso al bambino Renzi fa ridere il pubblico televisivo, cioè tutti. Obama che parla della bimba Christina uccisa a Tucson — obiettivamente: superlativo — chiude lo show, due minuti di silenzio solido in platea e standig ovation, commenti all’uscita su quanto è bravo Obama, mamma mia, piccoli capannelli nel foyer, “Ma hai sentito quando dice che bisogna tenere in vita le aspettative dei bambini?”. E sì era Obama, non Renzi, ma è uguale.
Perché almeno in una cosa, sicuramente in questa sì, Renzi ha già  sconfitto tutti gli avversari: si è circondato di persone più brave di lui. Non ha avuto paura che gli facessero ombra, i collaboratori. Ha preso su piazza i migliori: lo spettacolo dell’Auditorium, chiunque abbia mai allestito anche solo un palco di paese lo sa, è un oggetto teatrale semplicissimo e sofisticato, costoso, studiato e provato nei particolari. Il regista, il tecnico del suono, gli autori dei testi, i filmaker che riversano sul blog le interviste fatte per strada, l’organizzatore che prende al volo la sala una settimana prima. Tutto funziona meglio di quando non accada agli altri, basta dare un’occhiata il giorno dopo sul web per verificare. Non è solo Gori, anche se Gori è molto. Non sono nemmeno le risorse, cioè il denaro: anche gli altri ne dispongono in sufficiente quantità . E’ una rete di competenze al lavoro, e la differenza si vede. Il pubblico applaude con convinzione, ed è un pubblico davvero misto per età  e formazione, per provenienza politica. A Varese, nel teatro strapieno, c’è “una minoranza di ex leghisti, pochi del Pd”, annota sul taccuino la giornalista locale che i militanti politici li conosce quasi tutti di persona. Il resto “sono gente qualunque, quella è la mia vecchia prof del liceo. Quella la libraia del corso. Quello lì un avvocato, democristiano mi pare. Gli altri non so, alle manifestazioni politiche non li ho mai visti”. A Roma, alle nove di sera a due passi dal Vaticano, ci sono gli ex addetti stampa di D’Alema, di Franceschini e di Prodi, gli uomini del Campidoglio di Veltroni e quelli di Alemanno, i pdl Fabrizio Santori e Gianluigi de Palo assessore alla scuola del Comune. “Questo ha già  vinto”, si dicono i collaboratori di Alemanno dando un’occhiata alla sala. “Macchè, sono tutti curiosi”, rispondono dal capannello bersaniano. Tutti no. In massa si fermano a firmare gli otto referendum per Roma proposti dai radicali, poi dentro in sala tutto pieno fino in galleria. Renzi batte e ribatte sulla scuola, gli asili nido e la formazione, il merito e i professori che fanno il mestiere “più bello e più importante del mondo”. Tre video su cinque (Crozza, Will Smith, Obama) parlano di bambini e lui stesso manda di sé questo messaggio: racconta del figlio undicenne, poi diventa in proprio il portabandiera dell’innocenza e del coraggio di un bambino. In platea, tra i tanti, tre sedicenni compagni di classe. Mattia Fiorilli, David Valente, Federico Stefanutto. A Federico piace, a Mattia per niente, David è dubbioso. “Siamo venuti a sentire, così poi possiamo discutere meglio”. La madre di un loro compagno di scuola passa e li riconosce, li saluta, si compiace. Mattia dice che “però tutta questa roba è fuffa, è solo buona per la tv”. Federico si accalora, non è vero, David ascolta. Una giovane donna, il doppio dei loro anni, si ferma a guardare la scena. “Ma ragazzi, voi l’avete mai sentito un uomo politico parlare di asili nido?”, domanda. Vorrebbe fermarsi a parlare con loro ma s’è fatto tardi, scusi signora, domani c’è scuola e fra mezz’ora chiude la metro.

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