Rajoy cancella le cure sanitarie per gli immigrati irregolari

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MADRID. Si curi chi può. Nella Spagna che affonda, il premier Mariano Rajoy ha ordinato di abbandonare i circa 150.000 immigrati clandestini che vivono nel paese e che da oggi – per effetto dell’entrata in vigore della «riforma» sanitaria – non potranno più accedere alle cure mediche gratuite. Il governo cattolico dei popolari è riuscito là  dove, in Italia, la Lega non ha potuto e Fini non ha voluto. La riforma sanitaria è uno dei capitoli più contestati e tristi dell’infinita serie di tagli che sta distruggendo il welfare iberico, ridotto ormai all’ombra di ciò che era fino a pochi mesi fa. Tutto nel segno dell’austerità , un tappeto sotto il quale il governo nasconde il costo sociale di una linea ideologica che sembra quella di un Robin Hood al contrario, che toglie ai poveri (scuola pubblica, emigrati, disoccupati) per dare ai ricchi (le banche, ad esempio). E pazienza se da oggi -come fanno notare in un comunicato congiunto Doctors of the World, Amnesty International e altre associazioni mediche e umanitarie – la legislazione sanitaria spagnola violerà  i diritti umani; pazienza se da oggi migliaia di malati si sveglieranno senza sapere se potranno ricevere le cure e senza sapere, di fatto, se potranno continuare a vivere in Spagna o dovranno emigrare un’altra volta. In gioco non c’è solo un problema di salute pubblica. Si tratta anche, e soprattutto, di una questione di salute sociale. La Spagna assorbe un terzo dell’emigrazione verso l’Europa: nel Paese vivono 5,7 milioni di emigrati (17% della popolazione), per cui ogni atto politico che sdogani o legittimi un atteggiamento di intolleranza può essere – soprattutto in questo periodo di affanno economico – socialmente esplosivo. Anche se qui in Spagna si è, per il momento, ben lontani dalla deriva xenofoba che sta vivendo, ad esempio, la Grecia. A differenza che in Italia mesi fa, la chiesa spagnola – mai così filo governativa – non ha detto una parola contro la riforma anti-immigrati. Nonostante la legge sia stata accolta con ostilità  dall’opinione pubblica e da molte regioni autonome. Andalusia, Paesi Baschi, Asturia, Canarie, Catalogna e Galizia (quest’ultima governata proprio dal Pp), hanno opposto un fermo rifiuto alla legge e continueranno a garantire l’assistenza sanitaria a chiunque ne abbia bisogno, anche se non è ben chiaro con quali modalità . Altre regioni, pur adattandosi alla decisione dell’esecutivo, hanno fatto sapere che continueranno a fornire assistenza gratuita ai malati infettivi e cronici per prevenire problemi di salute su larga scala, malgrado le direttive contrarie del ministero della Sanità . Anche la comunità  scientifica ha contestato il provvedimento. La Sociedad Espaà±ola de Medicina de Familia y Comunitaria, insieme a Doctors of the World, ha lanciato la campagna «Diritto a curare» con la quale sta raccogliendo firme per appoggiare e fomentare l’obiezione di coscienza tra i medici e sensibilizzare l’opinione pubblica. «Il personale sanitario – ha dichiarato àlvaro Gonzà¡lez, presidente di Doctors of the World – può e deve far sapere che curare è molto più che un obbligo: è un diritto che dobbiamo esercitare senza restrizioni». Intanto i migranti irregolari che non vogliono o non possono lasciare la Spagna stanno già  affinando l’ingegno: alcuni di loro chiederanno in prestito la tessera sanitaria a chi ce l’ha, dato che il documento non riporta nessuna foto identificativa. In questo caso – fanno sapere le varie associazioni mediche – il rischio è che vengano falsate migliaia di cartelle cliniche e che si verifichino situazioni di caos medico e amministrativo, che potrebbero portare a errori nelle diagnosi e nelle cure. E non è da escludere che possa prendere piede un vero e proprio mercato nero di tessere sanitarie. Tutte ipotesi che potranno essere verificate solo nei prossimi mesi. Per ora, al battesimo della riforma, regna una grande incertezza che il governo non sa o non vuole dissipare. Quel che è certo, invece, è che questa misura odiosa rappresenta una quota minima (tra 250 e 500 milioni di euro, a seconda delle stime) dei 7,2 miliardi che il governo conta di risparmiare in materia di sanità .


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