Stabilimenti in bilico e strategie, i chiarimenti attesi da Palazzo Chigi
L’incontro di sabato arriva, per così dire, a «dossier ancora aperti», mentre cioè i collaboratori del premier ma anche quelli del ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, sono impegnati a ricostruire la situazione. Ma una cosa appare già evidente al governo: non ci sono molte leve attraverso cui indurre Marchionne a perseverare sul piano Fabbrica Italia. La Fiat per ora sta utilizzando una cassa integrazione ordinaria che ha pagato insieme con i lavoratori e i dossier sui quali il governo poteva far pesare un proprio intervento sono ormai chiusi: è così per Termini Imerese, Irisbus, Sevel. Insomma Fiat non ha da chiedere niente per restare in Italia. Quanto alla difficile fase congiunturale, pesante per tutti i concorrenti, potrebbe ricorrere alla vendita di altri asset, come quello dei veicoli industriali.
Il governo però può fare due cose: verificare le intenzioni di Marchionne a investire, e in questo caso assicurargli le migliori condizioni di contesto anche in termini di ammortizzatori sociali straordinari (sapendo che però gli altri cento tavoli al ministero dello Sviluppo reclamerebbero la medesima attenzione).
Oppure acclarare l’eventuale volontà della Fiat di non mantenere alcuni degli stabilimenti. In questo caso è chiaro che se avessero fondamento certi appetiti della Volkswagen sul nostro Paese o il ventilato interesse della Bmw a produrre alla Bertone, il governo potrebbe sentirsi libero di prenderli seriamente in considerazione.
Antonella Baccaro
Related Articles
Doccia gelata di Moody’s “Pronti a declassare l’Italia”
Crescita bassa, alto debito e piano di rientro in forse. Il 21 maggio S&P aveva cambiato da stabile a negativo il giudizio sulle prospettive
Articolo 18, oggi l’esame del governo
Ultimi ritocchi al testo, forse in serata già al Colle. Bersani: un’intesa è possibile
Sindacato tedesco: « Sono ragionevoli le proposte di Atene »
i governi europei, quello di Angela Merkel in testa, hanno ricevuto un mandato dai propri elettori in base al quale devono dire no alle richieste di Atene. Ma è davvero così?