Trattativa, stretta dell’Antimafia

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ROMA — La relazione della Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Beppe Pisanu, è quasi pronta, mancano solo pochi ritocchi per il giudizio definitivo di senatori e deputati sulla presunta trattativa Stato-Cosa Nostra al tempo delle stragi di Palermo: «Sarà  importante che l’assemblea plenaria voti la relazione all’unanimità  â€” si lascia sfuggire uno dei suoi componenti, Luigi Li Gotti dell’Idv —. Di certo, comunque la si voglia chiamare, trattativa o no, dal nostro lavoro è già  emerso chiaramente che vi furono contatti, tra lo Stato e la mafia, finalizzati a qualcosa…».

La prossima settimana sarà  decisiva: a Palazzo San Macuto, lunedì 10 e martedì 11 settembre, sono in programma le ultime audizioni prima del voto. Verranno sentiti per la prima volta Giuliano Amato, presidente del Consiglio dal 1992 al 1993; Gianni De Gennaro, all’epoca capo della Direzione investigativa antimafia e forse Agnese Borsellino, che in questi anni ha rivelato i sospetti di suo marito Paolo sull’esistenza della trattativa tra lo Stato e la mafia, trattativa a cui però Paolo Borsellino era contrario e forse per questo — secondo i giudici di Palermo e Caltanissetta — pagò con la vita in via D’Amelio, il 19 luglio del ’92.
La Commissione antimafia ha riconvocato per i prossimi giorni anche Claudio Martelli e Vincenzo Scotti, rispettivamente ministro della Giustizia e ministro dell’Interno fino al giugno ’92: «Ho qui la lettera di convocazione per l’11 settembre — conferma Scotti —. Le domande verteranno ancora sulla mia sostituzione al dicastero in favore di Nicola Mancino, sul ruolo dell’allora presidente della Repubblica Scalfaro e via dicendo. Questa volta, però, suggerirò ai colleghi parlamentari di acquisire direttamente i documenti della segreteria privata del ministero».
Anche a Nicola Mancino i commissari di San Macuto hanno inviato per iscritto una richiesta d’integrazione. Le sue risposte sono date in arrivo. E così pure le risposte di Giovanni Conso, ministro della Giustizia dopo Martelli, che decise di non prorogare il 41 bis (il regime di carcere duro) per 300 mafiosi; e quelle di Carlo Azeglio Ciampi, a Palazzo Chigi dopo Amato nel ’93. Pure a loro l’Antimafia ha inviato domande scritte. La Commissione, poi, sentirà  Nicola Cristella, nel ’93 caposcorta del vicedirettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Francesco Di Maggio, che davanti ai pm di Palermo ha tirato in ballo l’ex ministro Dc Calogero Mannino. Infine, è prevista l’audizione di don Fabio Fabbri, ex vicecapo dei cappellani delle carceri e testimone nella primavera del ’93 dell’incontro al Quirinale tra il suo superiore don Cesare Curioni col presidente Scalfaro, per sostituire l’allora capo del Dap, Nicolò Amato.
A Palermo, il prossimo 29 ottobre — data in cui la Corte costituzionale si sarà  già  pronunciata sull’ammissibilità  del conflitto sollevato dal Quirinale per le telefonate intercettate del senatore Nicola Mancino col presidente Napolitano — il gip Piergiorgio Morosini (di Magistratura democratica) sarà  chiamato a decidere sulle dodici richieste di rinvio a giudizio formulate dai pm di Palermo che hanno chiuso l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. E Mancino è accusato di falsa testimonianza. «Non è concepibile che il presidente della Repubblica possa essere intercettato», ha ribadito ieri il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri. Di tutt’altro parere il segretario della Lega Nord, Roberto Maroni: «Non c’è privacy che tenga, io pretendo di sapere se la trattativa Stato-mafia ci sia stata, perciò Napolitano farebbe bene a dire tutto ciò che sa e a rendere noti i contenuti delle telefonate con Mancino». E il deputato del Pdl Alfredo Mantovano critica il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari per le loro parole sui presunti tentativi di destabilizzazione del capo dello Stato: «Siano meno generici».


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