A Montecitorio torna la paura di Mani pulite

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ROMA — «Chi hanno arrestato oggi?». Se lo chiedono tra i banchi della Camera i deputati di tutti i partiti. Ogni mattina. Come ai tempi di Tangentopoli. Alessandra Mussolini racconta: «In aula vedo colleghi che parlano da soli, altri che recitano le novene: “Fa che non tocchi a me”. C’è un clima brutto, un clima di paura». Pierluigi Castagnetti, che ne ha viste tante, spiega che si respira la stessa aria di vent’anni fa: «Sento la crisi di un sistema che va in pezzi, si avverte la sensazione di un degrado impossibile da sconfiggere. Dicono: ma sono le regioni a essere nel mirino. Come se le regioni non fossero un pezzo delle istituzioni». Tutto può essere travolto. E Beppe Grillo sta diventando il simbolo di chi fa piazza pulita. Nel 1992 era il ruolo della Lega. «Ci vediamo in Parlamento, sarà  un piacere», ripete il comico. Suona come l’epitaffio della Seconda Repubblica. Ma anche come la valanga che segue l’azione dei magistrati.
«Ma adesso è molto peggio», sentenzia Bruno Tabacci che nel ‘92 venne indagato e assolto. La sua è l’analisi di chi è passato indenne per quella tempesta. Si è immunizzato, ma ha visto lo Stato scivolare verso l’abisso anziché riprendersi. L’assessore milanese e deputato dell’Api parla di un disastro morale. «Io
non la vedo questa paura. Perché sono puliti? Assolutamente no. È che c’è un clima di totale impunità . Sono delinquenti matricolati, non politici. Chiedergli se temono la giustizia è come chiedere a Vallanzasca se, quando ammazzava, si preoccupava che poi gli dessero la caccia». Tabacci quasi trema, posa la borsa e riprende la borsa. Dal Parlamento degli inquisiti a quello degli impuniti: a lui l’involuzione sembra naturale dopo l’era del berlusconismo. Si sfoga, rosso in viso: «Vogliamo paragonare Citaristi a questi ladri? Il tesoriere della Dc affrontò 60 processi e quando la Democrazia cristiana sparì, cominciò a pagarsi gli avvocati di tasca sua. Questi rubano per la casa, la barca, le vacanze. È molto peggio di allora. Batman Fiorito, prima di finire dentro, è stato una settimana in televisione a prenderci per il culo. Sergio Moroni imbracciò un fucile e si sparò in faccia.
Questa è la differenza».
Alla bufera giudiziaria che travolge la politica, alla nuova Tangentopoli che avanza ogni giorno, si uniscono gli scherzi della storia. Per esempio, nel cortile di Montecitorio, con un sigaro spento e solo l’assistente al suo fianco, Umberto Bossi recita la parte dell’innocen-tista,
richiamando il complotto della magistratura e dei tecnici. Vent’anni sono passati anche per lui e per la Lega travolta dagli scandali di Belsito e delle paghette al Trota. Il 16 marzo 1993 Bossi era seduto accanto a Luca Leoni Orsenigo quando sventolarono il cappio in aula. «Non è una rivoluzione. Quella di Mani pulite lo fu — dice il Senatur —. Il vero crimine è stata la nomina di Monti a Palazzo Chigi. I crimini di questi giorni servono a coprire il delitto principale». E gli arresti in Lombardia? E il commissariamento di Reggio Calabria. I furti del Lazio? «È una congiura del sistema, i tecnici vogliono travolgere i partiti, prenderne il posto. Non è Tangentopoli. Allora ci fu una rivolta vera, dal basso». È la fotografia della metamorfosi leghista, stampella di Formigoni in Lombardia.
Due decenni hanno cambiato le persone, le storie, i proclami. Ma non è cambiato il risultato: una politica non credibile, onnivora: di poltrone, di potere, di soldi. Antonio Di Pietro stava dall’altra parte della barricata. Oggi invece dice di aver pianto quando ha saputo dell’indagine sul consigliere regionale Vincenzo Maruccio, suo pupillo nell’Idv. L’ex pm si difende, ma teme di ritrovarsi nei panni dei politici che metteva sotto accusa ai tempi di Mani pulite. «Erano chiusi in un fortino, me li ricordo bene. Si giustificavano con argomenti assurdi. Per questo adesso devo cercare le parole. Per non fare lo stesso errore». Mussolini fu eletta alla Camera proprio nel 1992. Bandiera del Movimento sociale in virtù del suo cognome, trionfatrice nel collegio di Napoli. «Non si salva nessuno, ormai — spiega —. Nel ‘92 c’era la Lega, c’era l’ex Msi a difendere la legalità . La Dc e il Psi rubavano, vero, ma per il partito. Oggi rubano per le ostriche».
Finirà  male, dunque. «Il fango travolge tutti, non c’è dubbio», avverte il Pdl Guido Crosetto, esponente della Seconda Repubblica. «Ma nell’infamia direi che vent’anni dopo l’infamità  è maggiore. Si ruba per la settimana alle Maldive. Non c’è metodo, c’è un fenomeno sociale invece. E la democrazia rischia». La politica non ce la fa a rialzarsi, dice Alfonso Papa, 109 giorni in carcere, sotto processo per la P4. «I dirigenti politici si sentono sempre irresponsabili. Prenda la Polverini: doveva
garantire il controllo della Regione, poi fa i manifesti con scritto “li mando a casa io”». Rischiano anche le persone in carne e ossa. Il senatore del Pd Stefano Ceccanti si attende nuovi indagati, nuovi arresti. «I soldi dell’assessore lombardo o quelli di Maruccio servivano per la politica, per farsi eleggere. Allora mi chiedo: quanto altro denaro è passato dai conti dei gruppi nelle regioni a quelli privati?». Non finisce qui. Non finisce più. Come Tangentopoli che è arrivata viva e vegeta fino a oggi.


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