Case (arredate) e lavatrici per tutti Chà¡vez chiama il «pueblo» al voto

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Invece bisognerà  aspettare domani notte, forse lunedì mattina; e la notevole prova di forza di un milione di persone sotto la pioggia, giovedì a Caracas, inneggiante a «Mi comandante!», lascia il sospetto che l’autunno del caudillo — logoro o moribondo per il cancro come lo descrivono in molti — potrebbe non essere iniziato. Meglio lasciar perdere i sondaggi alla vigilia del voto, ammoniscono in entrambi gli schieramenti, non sono affidabili. È un fatto però che Chà¡vez sta affrontando la prova più difficile della sua vita politica, e l’opposizione mai aveva condotto una campagna così ben fatta, e senza gli errori del passato.
La Avenida Bolà­var con una marea umana dipinta di rosso ci rammenta tutte le anomalie. Il presidente-candidato decide che quel giorno, un giovedì, i dipendenti pubblici non debbano lavorare ma infilarsi una maglietta di propaganda e andare in piazza ad ascoltarlo. Il metrò è gratis e i pullman arrivano da tutto il Venezuela. I confini sono incerti: governo, Stato, partito socialista e imprese pubbliche sono più o meno la stessa cosa, tutti uniti per assicurare il trionfo di domani. Rispetto al passato rabbioso di «socialismo o morte» alla cubana, oggi però il chavismo appare in forma di cuore con i colori della bandiera nazionale e il leader è definito «corazà³n del pueblo». Campagna furba, per far dimenticare i fatti ed esaltare le emozioni. Complice la malattia, sulla quale non si dice una parola («Il tumore? Me lo sono già  dimenticato», ha tagliato corto Chà¡vez all’agenzia Efe), gli strateghi della continuità , tra cui il mago brasiliano del marketing politico Joà£o Santana, sfilano al Comandante i panni del militare e lo avvicinano alla gente. Aggiungendo mistica e devozione religiosa a quel che già  esiste da anni: affetto ed empatia con i suoi. «Sbaglia? Non fa il possibile? Non importa, uno così non lo avremo mai più in questo Paese, quindi lo voterò sempre», come riassume una fedelissima Josefina, tornando a casa inzuppata dopo il corteo.
Poi ci sono i soldi, i fondi pubblici, la cornucopia del petrolio che sembra non esaurirsi mai. Davanti a una economia che segna il passo e le tipiche inefficienze dei sistemi socialisti, stavolta Chà¡vez ha trovato la soluzione nell’edilizia popolare. Il programma si chiama Missione Vivienda (abitazione) e ha offuscato negli ultimi tempi gli altri interventi del governo. Da solo ha trascinato il Pil al rialzo. Prevede la costruzione di centinaia di migliaia di case, ne sono già  state consegnate 253.000 in un anno e mezzo. A Charallave, un’ora di treno da Caracas, il disoccupato Pedro Pinto, 4 figli e una moglie che ne aspetta un quinto, si è visto assegnare la casa dopo aver perso la sua baracca in una favela di Caracas, dopo un alluvione. Meno di due anni in un rifugio, ed eccolo qui. Alla domanda su chi voterà , ci risponde con arguzia popolare: «L’animale non morde la mano a chi gli porta del cibo». L’appartamento è ottimo, due stanze da letto, due bagni. È stato consegnato con tanto di frigorifero, lavatrice e cucina, sulla base di un altro programma di Chà¡vez chiamato «La mia casa ben arredata». Gli elettrodomestici arrivano dalla Cina: a seconda del reddito o sono gratis o si pagano poco, a rate. I cinesi, in cambio di massicce forniture di petrolio, mettono anche buona parte dei fondi necessari a costruire le case. Ce ne sono ovunque anche nel centro di Caracas, alcune a fianco di Plaza Venezuela, dove è sorto un altro tempio del chavismo benefattore, il supermercato Bicentenario. Qui si trovano prodotti di consumo e cibo a prezzi calmierati, con i quali il governo strizza l’occhio anche alla classe media. Molti prodotti sono «socialisti», cioè costruiti da aziende espropriate dallo Stato. Non si trova un economista che sostenga l’idea, ma Chà¡vez va avanti. Non gli importa dell’inflazione, del cambio nero, del fatto che in Venezuela si produca sempre meno e si importi sempre di più. Lo Stato ci pensa dopo.


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