Continente Chà¡vez

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CARACAS (Venezuela). Il presidente Hugo Chavez, rieletto per la quarta volta, si affaccia alla finestra, saluta a pugno chiuso il mare di camicie rosse affluito nel piazzale. «Sono di nuovo al balcone del popolo. Viva la rivoluzione socialista».
Domani, la Commissione nazionale elettorale (Cne) lo proclamerà  presidente, eletto con il 7.963.061 preferenze: il 55% dei voti scrutinati. Il suo sfidante Henrique Capriles Radosnki – l’ex governatore dello stato Miranda che ha corso per lo schieramento di centrodestra Mesa de la unidad democratica (Mud) – ha totalizzato 6.426.286 voti, ossia il 44,39%. Una partecipazione record, che ha raggiunto l’80,33%. Su 1.608.976 aventi diritto, hanno votato in 1.292.524. Le schede nulle sono state 25.237.
Alla presidenza hanno concorso anche candidature minori. Reina Seguera, che aveva promesso «un milione a tutti» ha avuto 6.426.286 preferenze. Luis Reyes, 796 e Orlando Chirino, 440. Maria Bolivar, 68.210. «Saranno stati i clienti della sua panetteria», ha scherzato una ragazza qualche ora prima.
La tensione e l’altalena
Alla lettura dei risultati, eravamo nelle stanze del Ministero della Pianificazione e delle Finanze, insieme ai giovani del «Comando politico istituzionale» e a quelli della radio comunitaria El Vocero de Altagracia. Si stemperava così la tensione della giornata, l’altalena emotiva legata al rincorrersi delle notizie e delle proiezioni. Alle 18, l’Abc di Madrid aveva dato quasi per certa la vittoria di Capriles. Per tutto il periodo regolato dal silenzio elettorale (da giovedì), l’opposizione ha continuato a inondare di messaggi promozionali i cellulari dei cittadini e i twitter chavisti. Sullo schermo della sala, scorrevano quei messaggi, via via sempre meno consonanti con le dichiarazioni dell’opposizione, influenzate dai sondaggi: affermazioni pacate, che riconoscevano i risultati del voto e sembravano depotenziare le tensioni.
«Chiunque vinca, succederà  qualcosa di brutto – ci aveva detto una signora di Maracaibo sull’aereo per Caracas – una mia amica è andata in pasticceria per ordinare la torta per la figlia che compie gli anni dopo le elezioni, e ben due pasticcerie non gliel’hanno voluta fare». Dello stesso tenore, i discorsi di un gruppo di venezuelani residenti a Miami, che tornavano per votare: «Perché quello ha chiuso il consolato, impedendoci di votare». Ieri, il News Herald in spagnolo titolava: «Delusione e tristezza fra i venezuelani di Miami».
L’aereo, proveniente da Francoforte, sabato ha riportato in patria anche un gruppo di medici, reduci da un congresso internazionale. «A quel congresso eravamo tutti antichavisti – ci ha raccontano una specialista in endocrinologia originaria del Zulia – Mio padre è un ex ingegnere di Pdvsa prima del governo Chavez, si è costruito una posizione dal nulla, mi ha fatto studiare. Mi merito un compenso adeguato. Chavez ha chiesto ai giovani medici di opposizione di lavorare a un progetto di diagnostica integrato. Una buona cosa. Ma ce ne siamo andati subito. Perché devo lavorare negli ospedali pubblici o nelle misiones e guadagnare così poco? Meglio le cliniche private». La donna si è definita un’oppositrice della prima ora, attiva durante il colpo di stato del 2002 e lo sciopero petrolifero seguito. «Allora ci ha raccontato – tornavo a casa con tre buste della spesa piene. Due donne mi hanno aggredito lasciandomene solo una: secondo loro era colpa mia se per lo sciopero c’erano i commerci chiusi e loro non potevano sfamare i figli. È colpa di quello, invece, è lui che legittima questi comportamenti. Come medico non posso augurargli di morire, ma se potessimo liberarcene…, quando è tornato mi è venuta la depressione».
Il cazerolazo della destra
Alla vigilia elettorale, dopo la conferenza stampa di Chavez, nei quartieri governati dall’opposizione è partito un cazerolazo e, verso le 3 di notte, prima dell’apertura dei seggi, i militanti della destra hanno sfilato sotto le finestre al grido di: «Lo siento, lo siento, Capriles presidente». I chavisti, giravano per recuperare i militanti a suon di musica, modificando gli slogan degli avversari, e dipingendo baffetti alla Hitler sui manifesti di Capriles.
All’annuncio dei risultati, il candidato dell’opposizione ha però stemperato i bollenti spiriti. Ha ringraziato i suoi elettori e si è congratulato con il presidente: «Per saper vincere bisogna saper perdere, accetto la decisione del popolo. Sono un sincero democratico», ha affermato. Il leader della Mud ha poi valorizzato la vittoria del suo campo, gli oltre due milioni di voti in più andati all’opposizione rispetto alle elezioni del 2006.
Toni pacati anche da gran parte della stampa schierata a destra: «Con questa vittoria, il Venezuela ha reso inaggirabile la presenza della questione sociale negli organismi del continente», ha detto la nota giornalista colombiana, Patricia Janiot, corrispondente della Cnn.
«Una lezione di civiltà »
Carlos àlvarez, a capo della squadra di accompagnamento della Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) ha dichiarato: «In questo modo il Venezuela ha dato una straordinaria lezione di civiltà  alla comunità  internazionale».
A Miraflores, la folla risponde intonando slogan: «Uh, Ah, Chavez no se va». Un’eco interminabile riprende i canti della giornata, risuona per le strade di Caracas stracolme di sorrisi in festa e mignoli colorati dall’inchiostro con cui si sono prese le impronte ai seggi. Una marea di giovani coi pearcing, tatuaggi e bottiglia di birra brinda, incurante delle disposizioni che vietano la vendita di alcolici fino alla giornata di oggi. Un fiume di bambini, di anziani, di intellettuali, di storpi che in Europa vedresti elemosinare agli angoli di strada. Ai lati, guizza un corteo vociante di ragazzi in moto, giovanissimi dell’ultraperiferia, con megafoni e bandiere. Nel corso del pomeriggio, si erano precipitati nei seggi «caldi», decisi a rendere pan per focaccia agli ultras di Capriles: il grosso delle «pattuglie» bolivariane, li aveva però dissuasi, evitando di compromettere lo svolgimento «allegro e pacifico» della giornata elettorale.
Al balcone, Chavez riporta i messaggi di congratulazione ricevuti dalla presidente argentina Cristina de Kirchner e dagli altri leader internazionali. Elenca le zone conquistate alla grande o per un pugno di voti: ha vinto anche nel Zulia e nello stato Falcon, roccaforti dell’opposizione. Nel 2006, aveva vinto però con il 62% dei voti, 25 punti in più rispetto al candidato dell’opposizione Manuel Rosales. Nel 1998, la sua prima affermazione elettorale era stata determinata dal 56% delle preferenze. Oggi, lo scarto è minore e, dietro la soddisfazione, la parola prevalente tra i chavisti è «revisar», fare un bilancio degli errori. Quali? «Soprattutto – dice il giovane Ernesto – occorre mettere le persone giuste ai posti di governo: sindaci, governatori….». Entro venerdì, si chiuderanno le candidature per le regionali di dicembre. Le comunali si terranno in aprile.
«Il lavoro che c’aspetta»
Il presidente Chavez elenca le principali conquiste del suo governo: «Niente rispetto a quello che dovremo fare», aveva detto nel pomeriggio nel corso di una conferenza stampa che ha tenuto nello storico quartiere del 23 de Enero. Con lui c’erano alcuni sostenitori internazionali, dalla deputata colombiana Piedad Cordoba, alla premio Nobel guatemalteca Rigoberta Menchu, a Inacio Ramonet.
«Adesso – dice ancora Chavez – dobbiamo costruire un processo di riconciliazione nazionale, porgendo la mano a chi vuole il dialogo e isolando quelli che non lo vogliono». Un ragazzo applaude agitando la bandiera bolivariana. Uno di quelli sulla moto corruga la fronte e, con un gesto di stizza, sputa di lato.


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