DAGLI “ANTI” AI “POST” QUEL DIZIONARIO PER CAPIRE IL PRESENTE

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Per capire il disagio cognitivo del nostro tempo, basta far caso al linguaggio. Allo slittamento semantico e prima ancora lessicale del nostro dizionario. Delle parole di cui ci serviamo per definire quel che avviene. Soprattutto nell’ambito pubblico e politico. Dove si assiste all’invasione di parole indirette. Non-parole, che indicano un concetto o un contenuto per distinzione: temporale oppure oppositiva. Più che de-finizioni, che de-limitano il campo dei significati, delle in-definizioni. Che suggeriscono, senza precisare. Basti pensare alla “sindrome del Post”. Secondo Gian Enrico Rusconi (Cosa resta dell’Occidente, Laterza), un segnale della crisi della “razionalità ”, principio della civiltà  occidentale. Sicuramente, un indice dell’incapacità  di chiarire quel che sta avvenendo e, a maggior “ragione” (mi si scusi il gioco di parole), di delineare quel che avverrà . Oggi tutto è Post. Viviamo in regime di Post-democrazia, in un clima culturale Post-ideologico e Post-secolare. Da molto tempo, d’altronde, siamo nella Post-modernità . E noi, in particolare, abitiamo in un Paese – provvisorio – popolato di Post-italiani. Almeno da quando, come osserva Edmondo Berselli, siamo divenuti consapevoli «che eravamo diventati tutti post-qualche cosa, eravamo tutti post-comunisti, post-democristiani, post-fascisti». Perché Post significa Dopo. Significa, dunque, che è finita un’epoca, insieme ai modelli culturali e ideologici, ai soggetti e ai sistemi politici che l’hanno accompagnata e caratterizzata. Ma non disponiamo ancora di alternative evidenti e riconosciute. Di modelli culturali e ideologici, soggetti e sistemi politici: nuovi e diversi. Per cui non riusciamo a spiegare il cambiamento in atto senza fare ricorso ai nomi del passato. Quel che c’era e ora non è più come prima, ma ancora non è stato rimpiazzato da qualcosa di diverso e distinto. Insomma, Post significa “non più” ma anche “non ancora”.
L’altro marchio che indica la crisi del nostro tempo attraverso il linguaggio è la “sindrome dell’Anti”. Anche se non costituisce un aspetto nuovo. Anzi. La Prima Repubblica è stata attraversata da una frattura non solo politica ma anche territoriale riassumibile nell’Anti-comunismo. In generale, la cultura politica degli italiani è, prevalentemente e tradizionalmente, Anti-politica. Segnata dalla diffidenza verso le istituzioni pubbliche, lo Stato, i partiti e gli uomini politici. Per cui si è votato, a lungo, “contro” ancor più che “per” un partito. Almeno, nelle aree sociali e territoriali che hanno sostenuto i partiti di governo. Nell’Italia media: anti-politica e anti-comunista. Peraltro, nelle aree sociali e territoriali che hanno sostenuto l’opposizione di sinistra, erano presenti sentimenti anti-clericali e anti-cattolici. Oltre che anti-borghesi.
Nella Seconda Repubblica il quadro non è cambiato. Anzi questa prospettiva si è, se possibile, rafforzata. D’altronde, la Lega si è formata e sviluppata sfruttando e alimentando il sentimento antiromano, radicato nel Nord – e non solo. L’ha intrecciato con il sentimento anti-partitico. Agitando la bandiera della protesta contro i “partiti romani”. Nel 1996: Roma-Polo e Roma-Ulivo. Berlusconi, poi, ha ripreso e rilanciato l’anti-comunismo. Al posto del Muro di Berlino ha eretto il Muro di Arcore. E ha diviso, nuovamente, il Paese in due: Anti-comunisti e Anti-berlusconiani.
Oggi, il berlusconismo è in declino, ma non l’Anti- berlusconismo. Semmai, si è allargato l’orientamento di sfiducia che tutto omologa, tutto coinvolge e travolge. L’Anti-politica. Agitato da tutti contro tutti. Contro i Politici e contro i Tecnici. (Gli stessi Tecnici, d’altronde, sono stati nominati e usati anche contro i Politici.) Contro i partiti di governo e di opposizione. Contro Grillo, contro il PdL e il PdL senza la L. Contro chi non paga le tasse e contro chi le tasse le fa pagare, con metodi spicci. Contro, non “per”. Perché in questo Paese oggi, ancor più di ieri, non riusciamo a capire cosa avvenga. Sappiamo che tutto è cambiato e sta cambiando. Ma non sappiamo come. E non sappiamo indicare nomi e cognomi del “nuovo che avanza”. Sappiamo che il futuro è il Post-passato. L’Anti-cipazione del “nuovo che verrà ”. Domani. Cioè: dopo. Post. Naturalmente, l’attesa ci disturba. Perché ci sentiamo prigionieri e ostaggio del presente. Così, per (in)sicurezza, ci opponiamo anche al presente. Siamo l’Anti-presente.


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