Denunce penali e ricorso a esperti esterni. Che succede se l’azienda non collabora

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Un ordine, in sostanza. Dopo le lamentele dei tre custodi giudiziari ai quali è stata affidata la gestione dello stabilimento. Che al procuratore Franco Sebastio giurano: «L’Ilva non collabora».
Il punto è proprio questo, la collaborazione. Al di là  del fatto che sia accaduto o meno in passato (e Ferrante lo nega) che cosa succede se stavolta il presidente dell’acciaieria non segue la strada tracciata dalla magistratura?
Nella direttiva di sabato sera c’è la risposta. Dice la Procura: «In caso di inottemperanza i custodi amministratori si avvarranno della facoltà  di nomina di ausiliari procedendo senza ulteriori indugi e osservando comunque tutte le cautele del caso, segnalando eventuali rifiuti, omissioni o abusi per tutte le possibili valutazioni, anche di tipo penale».
Quindi le parole-chiave sono «ausiliari», «procedere senza indugi» e «valutazioni di tipo penale». Significa, per esempio, che se i custodi riterranno Ferrante poco collaborativo stavolta lo denunceranno. Reato possibile? Omissione di atti d’ufficio, norma che prevede la reclusione da sei mesi a due anni e che riguarda i pubblici ufficiali, proprio come l’ex prefetto di Milano. Che in questa partita gioca un ruolo di pubblico servizio essendo stato nominato anche lui custode giudiziario assieme agli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuele Laterza e Claudio Lofrumento (quelli che lo accusano di non collaborare).
E veniamo agli ausiliari. I magistrati, in pratica, annunciano a Ferrante: se non sarai tu a nominarli e avviare con loro le procedure di spegnimento nei prossimi cinque giorni, li nomineremo noi. Questione non proprio facilissima, a meno che i custodi non abbiano già  i loro assi nella manica. Perché non è cosa per nulla semplice individuare chi può tecnicamente farlo, data la complessità  delle operazioni che sarebbero richieste. E inoltre si presume, stando al ragionamento della Procura, che se l’Ilva non li nomina è per via di quella mancata collaborazione di cui è accusata. E in quel caso risulta abbastanza palese che gli «ausiliari» dello spegnimento non sarebbero pescati fra i super-tecnici aziendali. E dove, allora?
Impossibile non fare parallelismi con una situazione identica che risale al 2001. Era l’11 settembre e il mondo guardava alle Twin Towers e alla minaccia terroristica. Perciò passò inosservato ai più il sequestro preventivo che la Procura tarantina dell’epoca firmò contro alcune batterie delle cokerie Ilva che erano da bloccare e risanare. «L’azienda non collaborò per nulla» ricordano ancora adesso in Procura, tanto che per mesi e mesi il provvedimento rimase inapplicato, finché non fu siglata un’intesa e l’Ilva sanò la vicenda. In quei mesi di «giustizia sospesa» (come la battezzarono gli ambientalisti) si cercarono inutilmente aziende specializzate in Italia e all’estero. Nessuno accettò di eseguire le operazioni. Andrà  allo stesso modo anche stavolta oppure i tre ingegneri hanno giù studiato nomi e soluzioni?
Di sicuro, scaduti i cinque giorni, procederanno «senza ulteriori indugi» allo spegnimento. Che l’Ilva lo voglia o no. E a proposito della non collaborazione l’azienda non ha intenzione di farsi mettere sott’accusa: «Sono loro a coinvolgermi solo quando sono davanti alla porta dello stabilimento» aveva risposto alle loro prime lamentele Bruno Ferrante qualche giorno fa. «Non è vero che noi non collaboriamo e abbiamo un ampio carteggio che può dimostrare esattamente il contrario. Secondo il Riesame nel collegio ci sono anch’io eppure loro non mi chiamano, io non so mai se ci sono oppure no, mai saputo niente della loro agenda di lavoro. Altro che non collaborare…».
Giusi Fasano


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