Dopo l’89, a Est la Chiesa all’incasso

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PRAGA. In una situazione di crisi di incassi e di offerte generale, la Chiesa cattolica sta per prendere possesso di un patrimonio notevole nel cuore d’Europa, nella vecchia Mitteleuropa. Alla Camera dei deputati della Repubblica ceca è infatti sulla via dell’approvazione la legge, che dovrà  regolare il processo di restituzione dei beni ecclesiastici, confiscati dal governo del Partito comunista cecoslovacco nel 1948. La legge sulla restituzione dei beni ecclesiastici fa infatti parte di un pacchetto di provvedimenti di bilancio a cui ha legato la sua esistenza il governo del centrodestra guidato dal premier Petr Necas.
Restituire l’irrestituibile?
Il meccanismo previsto dalla legge prevede che ai 17 enti ecclesiastici riconosciuti dallo stato venga restituito circa il 56% dei beni espropriati dopo il 1948 per un totale di circa 75 miliardi di corone (tre miliardi di euro). Il valore del restante 44% dei beni, che si presume per varie ragioni fattivamente non restituibile, dovrà  poi essere compensato da una somma di 59 miliardi di corone ceche (più di 2 miliardi di euro), che saranno pagati in 17 anni. Ovviamente i 59 miliardi in questione verranno valorizzati ogni anno secondo il tasso d’inflazione, e contemporaneamente lo stato dovrebbe diminuire la quota di finanziamento pubblico alle chiese e alle associazioni religiose.
Tra i 17 enti ecclesiastici, che godranno della restituzione, la parte del leone è fatta dalla chiesa cattolica, schierata con forza in favore della legge.
La chiesa dovrebbe incassare la stragrande maggioranza della compensazione finanziaria, che infatti verrà  calcolata sulla base della quota di ogni singola associazione religiosa sul totale del patrimonio da restituire, e non secondo il numero dei fedeli o degli ecclesiastici, come accade allo stato attuale con il finanziamento pubblico. Inoltre molti prelati e funzionari della curia non nascondono la voglia di prendere possesso dei beni per iniziare ad amministrarli o a venderli. Insomma il seme dell’insegnamento di un noto cardinale, defunto ma non perciò caduto in oblio, che ebbe a dire che la Chiesa non si costruisce con gli Ave Maria, sembra aver trovato un terreno fertile in terra ceca.
Tuttavia la quantità  delle restituzioni materiali – tra questi probabilmente la storica chiesa di San Vito nel Castello di Praga – rimane ancora incerta. «Vista la loro entità  fare una lista di tutti i beni ecclesiastici da restituire è praticamente impossibile», dice il ministro delle finanze Miroslav Kalousek. I critici della legge però avvertono, che la mancanza di un elenco esaustivo possa portare alla restituzione dei beni confiscati sulla base dei decreti dal governo democratico di Eduard Benes dell’immediato dopoguerra, che espropriò alcuni ordini religiosi a causa della loro collaborazione con i nazisti occupanti. Adesso potrebbero rientrare in possesso dei loro averi con una certa facilità , poiché in alcuni casi l’esproprio fu eseguito soltanto dopo il 1948.
E a voler retrodatare di 65 anni i rapporti di proprietà , si rischia di fare parecchi strafalcioni. Infatti molti beni, soprattutto per quanto riguarda i terreni e altri beni immobiliari, sono stati donati dai fedeli con dei vincoli specifici, miranti a limitare la possibilità  di alienazione, oppure sono stati affidati in comodato d’uso. Anche questi beni saranno ridati in disponibilità  piena e illimitata alle chiese restituenti.
Ricatti e rapporti di proprietà 
La legge in questione ha scatenato una forte opposizione sociale e parlamentare. A costruire la campagna più visibile sono stati gli socialdemocratici della Cssd, che ad agosto scatenarono le ire degli alti papaveri della chiesa cattolica con dei cartelloni pubblicitari raffiguranti una mano avvolta in una tonaca da tratti barocchi, che afferra letteralmente un sacco di soldi. «I cartelloni della Cssd sono del tutto comparabili ai manifesti antisemiti e anticlericali del Terzo Reich e poi a quelli ritinti di rosso del governo stalinista», scrissero in risposta il presidente della Conferenza episcopale ceca (Cec) cardinale Dominik Duka e altri esponenti degli enti ecclesiastici beneficiari della nuova legge. E ovviamente la Chiesa cattolica si spinse più in là , notando «che i vescovi sapranno dare le loro indicazioni al momento del voto».
Tuttavia i socialdemocratici ballano su un ghiaccio sottile. «Noi non rifiutiamo una compensazione finanziaria per le chiese a cui fu confiscato il patrimonio nel 1948, ma proponiamo di creare un fondo dei beni ecclesiastici, i cui proventi finanzino le attività  degli enti religiosi», illustra la proposta della Cssd il segretario del partito Bohuslav Sobotka. La Cssd infatti non vuole mettere in dubbio il modo in cui furono ricostruiti i rapporti di proprietà  dopo la caduta del Muro di Berlino, di cui fanno parte organica i rinnovati rapporti di proprietà  degli enti ecclesiastici.
L’opposizione della Cssd ha quindi intercettata un dissenso profondo della società  ceca verso la nuova legge, e la reazione a dir poco isterica delle gerarchie cattoliche alla campagna mediatica di quel partito ha messo in ombra gli altri soggetti critici, a partire dai comunisti della Kscm fino ai movimenti sociali come il ProAlt. Quest’ultimi soggetti infatti rifiutano in toto la logica della restituzione o della compensazione del patrimonio espropriato agli enti ecclesiastici.
Una posizione condivisa anche da alcune centinaia di personalità  del mondo cristiano, che hanno dato vita a un manifesto critico, dove viene sottolineato la profonda trasformazione organizzativa, che porta la nuova legge. «Con la restituzione del patrimonio e la compensazione finanziaria le chiese riceveranno un trattamento privilegiato rispetto alle altre persone giuridiche. In questo modo le chiese diventano delle società  private e commerciali, che si muovono sul mercato in ricerca di utili», scrivono gli estensori del manifesto, che tuttavia rimangono assai isolati nel panorama dei cattolici e dei cristiani in Repubblica ceca.
Soldi e fedeli: un tormento
In tutta la querelle sulla restituzione del patrimonio le gerarchie cattoliche sembrano irritate dalle critiche e dalle perplessità  sulla legge governativa. «La compensazione finanziaria rappresenterà  pochi decimali di percentuale del bilancio governativo, una somma assai sostenibile che non mette in pericolo le casse pubbliche», dice il segretario della Cec Tomas Holub.
L’attuale critica ha però radici molto profonde, non spiegabili soltanto dalla crisi e dai continui tagli allo stato sociale. Senz’altro una tale situazione rafforza il sentimento di sdegno e di insofferenza verso «l’ingordigia dei preti». I cechi sentono ancora molto l’eredità  ussita e protestante, le cui basi furono gettate proprio sulla contestazione del rapporto della chiesa con i beni materiali. Le battaglie e i simboli ussiti, come il calice o il condottiero medievale Jan Zizka, hanno mantenuto una forte carica identitaria e una narrazione che unisce alcuni tratti nazionalisti (nella vulgata gli ussiti combattevano contro i crociati e i tedeschi) con quelli che rimandano all’uguaglianza e alla redistribuzione della ricchezza, incarnati nella confisca del patrimonio della santa chiesa e nell’atteggiamento dei taboriti, che mettevano in comune la loro ricchezza privata.
Ciò porta la maggioranza delle persone a ritenere illegittima la pretesa della Chiesa cattolica, che oscura gli altri sedici soggetti coinvolti nella restituzione, in quanto illegittima viene considerata proprio l’accumulazione delle ricchezze. Un’accumulazione squalificata sia dalla missione evangelica sia dalla storia, che in queste terre ha visto la chiesa cattolica in prima fila nelle ruberie avvenute dopo la pace di Vestfalia.
Sarà  quindi veramente difficile dar corso all’auspicio espresso da Benedetto XVI durante la sua visita di stato nella Repubblica ceca dello scorso anno. Allora il Papa aveva fatto appello al clero locale, affinché si impegnasse in un’opera rievangelizzazione della società  ceca. Un impegno quanto mai arduo dopo l’ondata di sdegno dei cechi verso le gerarchie cattoliche, a cui sembra ormai interessare il proprio sostentamento economico piuttosto che la conquista dei cuori dei fedeli. E vista la storia della chiesa cattolica non è detto che sia un male la sua trasformazione da un’agenzia culturale reazionaria a un club di ricchi proprietari terrieri.

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SLOVACCHIA

Una Chiesa al limite, tra evasione fiscale e memoria del regime del vescovo Tiso

Anche in Slovacchia la chiesa cattolica attraversa mesi non facili. Sebbene i forzieri delle diocesi siano floride e il seguito dei fedeli ancora nutrito, il rapporto di fiducia tra base e gerarchia sembra spezzato. La miccia é stata la revoca del mandato all’arcivescovo di Trnava Jan Bezak da parte del Vaticano a causa di presunti ammanchi nel bilancio dell’arcidiocesi. La revoca, annunciata dallo stesso Bezak a luglio, ha scatenato manifestazioni di solidarietà  al prelato dimissionato. Inoltre si è diffusa l’opinione, che le accuse, a quanto pare false, siano state costruite ad arte da delatori appartenenti alle gerarchie cattoliche slovacche. Una grossa fetta della popolarità  di Bezak era dovuta al fatto che succedette all’arcivescovo Jan Sokol. Quest’ultimo infatti era conosciuto per le simpatie verso le organizzazioni fasciste e perché glorificava apertamente lo Stato slovacco fascista di monsignor Jozef Tiso. Ma Sokol era controverso anche perché prima di lasciare l’arcivescovado di Trnava fu accusato di aver fatto una falsa donazione di terreni alla catena commerciale britannica Tesco. Gli inquirenti però sospettano che il contratto di donazione fosse stata usato per evitare il pagamento delle imposte e che la Tesco avesse poi versato la somma corrispondente al valore commerciale dei lotti sul conto di Sokol aperto presso lo Ior.


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