Formigoni al bivio tra voto e rimpasto totale

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MILANO — Il giorno più duro di Roberto Formigoni. Quello dell’arresto di un suo assessore, Domenico Zambetti, accusato di avere comprato voti dalla ‘ndrangheta. Quello in cui la Guardia di Finanza arriva al Pirellone e sequestra pacchi di carte dopo che la Procura ha contestato i reati di truffa aggravata e peculato all’ex presidente del Consiglio regionale Davide Boni, all’ex vicepresidente Franco Nicoli Cristiani e al consigliere pdl Massimo Buscemi. Quello in cui la Lega lo mette alle corde chiedendogli di scegliere fra l’azzeramento della giunta o le dimissioni. Una batosta dopo l’altra, con il pallottoliere della Regione che continua a girare e sale a 14 il numero degli amministratori regionali alle prese con vicende giudiziarie.
Formigoni mantiene all’esterno la solita aria impassibile. Di prima mattina, si presenta alla cerimonia delle bandiere che apre la tre giorni di Expo: a Milano sono arrivati più di mille delegati delle nazioni di tutti i continenti e Formigoni, commissario generale dell’evento, applaude gli sbandieratori accanto al segretario del Bureau International des Expositions, Vicente Loscertales, mentre il sindaco Giuliano Pisapia cerca di stare a debita distanza. «Sono accuse gravissime e voglio approfondirle», è il primo commento del governatore. Dimettersi? «Sono accuse gravissime — ripete —, ma riguardano Zambetti». E via a ricordare che la Lombardia è una Regione virtuosa, «come altre nel nostro Paese» e che il governo «sbaglia se pensa di rifare una manovra contro le Regioni». L’imbarazzo al convegno di Expo è palpabile. Pisapia, che in serata non si presenterà  neppure alla cena che il governatore offre ai delegati Expo al trentanovesimo piano del Palazzo della Regione, è categorico: «Non si può più andare avanti così». Replicherà  più tardi, stizzito, il presidente lombardo: «Il sindaco Pisapia non è un consigliere regionale». Pare deciso e irremovibile come sempre, Formigoni. Ma qualcosa sta cambiando. Nel pomeriggio, riunisce i suoi assessori e si sfoga: «O la magistratura sta commettendo un errore clamoroso o Zambetti ha tradito me e ha tradito tutti voi». E poi, parlando ai collaboratori: «Avevo chiesto per due volte agli assessori se avessero la coscienza libera e se fossero disposti a fare gli assessori per esclusivo vantaggio dei cittadini e, di fronte alle mie insistenze personali, mi era stato garantito che tutto era rigorosamente conforme alla legge».
Formigoni non è sereno e nel suo giorno più duro decide di consultarsi con il ministro Annamaria Cancellieri. Una telefonata cordiale, durante la quale però il ministro dell’Interno non nasconde la preoccupazione del governo per quanto sta avvenendo in Lombardia: la situazione, insomma, è molto grave soprattutto perché questa volta si sospetta una intrusione a piedi uniti della ‘ndrangheta nelle istituzioni. Il livello di tensione sale: la base del Pdl si affida al segretario milanese Giulio Gallera per denunciare che «davvero non se ne può più. Noi stiamo cercando di lavorare per recuperare il contatto con il territorio, ma il disagio cresce e serve una rifondazione totale del partito o così non si può andare avanti». Poi c’è il problema della Lega e il segretario della Lega lombarda, Matteo Salvini, spiega in modo chiaro in quale direzione si marcia: «La Lega è nata per combattere mafia, camorra e ‘ndrangheta e Maroni come ministro dell’Interno ha avuto grandi risultati. Un conto è discutere della sanità  e di Daccò (il faccendiere finito in carcere per il crac del San Raffaele e le vicende della Fondazione Maugeri, ndr), un altro è sentire puzza di ‘ndrangheta in Regione Lombardia».
Ieri sera a Milano, dopo essersi consultato con il leader Roberto Maroni, Salvini ha riunito il gruppo regionale e gli assessori per decidere che cosa fare. In teoria, la Lega potrebbe decidere di staccare la spina alla giunta Formigoni, ma ragioni di opportunità  politica e il timore di ritorsioni da parte del Pdl in Veneto o Piemonte potrebbero suggerire prudenza. Anche perché in serata Formigoni sente Alfano e Berlusconi che ribadiscono la linea: se cade la nostra Regione cadono anche le due guidate dal Carroccio. Ma il risultato della riunione serale è che tutti gli eletti del Carroccio «nella più totale unità » mettono il loro mandato nelle mani di Maroni: «O Formigoni azzera la giunta o si dimette», insistono i leghisti. A Salvini, che dice di avere in tasca le dimissioni dei suoi, il governatore replica con un atto formale: in serata, con decreto, ritira le deleghe degli assessori del Carroccio e se ne prende carico.
Formigoni è consapevole del fatto che la situazione ha travalicato i confini lombardi e oggi a Roma incontrerà  i segretari di Lega e Pdl. Alla fine di queste consultazioni, deciderà  quale strada imboccare: «Ubi maior… Decideremo nell’incontro con Alfano e Maroni». Una ipotesi è quella di un rilancio della propria iniziativa politica, partendo da un rimpasto totale della giunta. Un’altra è quella del passo indietro, che lui stesso a questo punto potrebbe decidere di fare per difendere il lavoro fatto fino a qui, l’onore delle istituzioni lombarde e la propria immagine. Giusto il tempo di arrivare ad aprile per far coincidere l’adunata elettorale con quella delle politiche.
Nel frattempo, anche il centrosinistra chiede di azzerare tutto e ricorda che, «se Formigoni non se ne va, il Consiglio potrebbe decadere con le dimissioni di 41 consiglieri». I conti sono presto fatti: l’opposizione da sola arriverebbe a 31 consiglieri, nel caso in cui decidessero di dimettersi assieme a Pd, Idv e Sel anche gli esponenti dell’Udc, dei Pensionati e Filippo Penati del gruppo misto.


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