GLI AMICI DI ELSA

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Scrive Goffredo Parise a Elsa Morante: «Tu hai il dono della riflessione fuori di sé, della contemplazione, in altre parole della fantasia creatrice… ma sei infelice, della infelicità  del tutto, della tragicità  della carne e dell’apparenza breve, brevissima delle cose ». Quello che sentiamo per la scrittrice Morante è tutto in queste parole. Maestra, mai sorella. Ha lettori devoti, il rispetto di tutti, ma incute soggezione. In questa sua lotta tra genio e dolore, non vediamo leggerezza. Per questo motivo
L’amata (che esce ora per Einaudi) è un libro preziosissimo, oltre che incantevole. E ricchissimo di legami, da Henze a Rodari, dalla Ortese a Gassman, da Garboli a Bellezza fino a Sofri.
L’epistolario di uno scrittore non è la sua biografia, piuttosto un romanzo ulteriore. Ma ogni tanto le lettere scartano, si sfilano dal flusso di una narrazione sempre tenuta per rivelare un gesto, una debolezza magnifica, della persona scrittore. Leggendo L’amata, scopriamo che lei, temuta e adorata, a sua volta adorava e temeva. Landolfi, per esempio, scrittore al quale si rivolge come una timida ammiratrice. Pasolini, ovviamente. Lalla Romano, Calvino e Ginzburg, sia pure con alcune eccezioni. E ogni volta che Elsa eccepisce, lo scrive, con la sua irredimibile sincerità . Scopriamo quanto è stata amata, di un amore sensuale e sfacciato, dal bel ragazzo inglese (si firma RTM, questo è ciò che sappiamo di lui, e che è ricco e aristocratico, forse) che le scrive lettere in un italiano zoppo ed esilarante, volgare e molto erotico.
Una relazione passionale durata ben oltre la sua fine reale. Storie d’amore parallele e intrecciate, tessute nel matrimonio che lui, Moravia, non avrebbe mai voluto rescindere. Nel momento della crisi finale, dopo la morte di Bill Morrow, la supplica quasi, di non lasciarlo, di non abbandonare casa e piccole abitudini. Non ho che te, scrive Moravia, te e le scrittura e adesso entrambe mi lasciate. Scopriamo la tenerezza disarmante di Elsa innamorata pazza di Luchino Visconti, verso il quale si sporge dichiarandosi e offrendosi. Salvo poi ritrattare, nelle lettere successive, firmandosi col nome dei suoi gatti. «Riconoscermi adulta e sterile, e desiderio stravagante di essere un ragazzo», scrive a Landolfi parlando de L’isola di Arturo.
Quel ragazzo, quel ragazzino che avrebbe dovuto salvare il mondo e che Elsa Morante non sarà  mai. Ma la cui vivacità , il cui guizzare sotto la superficie, in queste lettere intuiamo. E che ci seduce.

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AD ALBERTO MORAVIA , 1950 (?)
Caro Alberto, non riesco a dormire, e scrivo a te per dirti quello che già  da molti mesi avrei dovuto dirti, e cioè che ti prego di perdonarmi il mio comportamento di questi ultimi tempi, e, soprattutto, di non credere mai che esso significhi la fine del mio grande affetto per te. Se tu sapessi il disordine della mia mente, che malgrado tutto riesco a nascondere, e l’incertezza che ho in ogni momento, l’impressione di sterilità , e aggiunta a questa la passione veramente strana e quasi inaudita per molti versi che mi è capitata, avresti pena di me più ancora di quella che hai.
Non credere che io non ti sia grata per il modo che usi verso di me e di cui mi ricorderò sempre. Sto molto male, non so se riuscirò a ritrovare un equilibrio in qualche cosa. Vorrei poter lavorare davvero, o amare davvero, e sarei felice di dare a qualcuno o a qualche cosa tutto quello che posso, purché la mia vita fosse compiuta finalmente e trovassi il riposo del cuore.
A te voglio tanto bene, un giorno capirò che sei sempre la persona a cui voglio più bene al mondo. Ma adesso perdonami la mia malattia. Buona notte – ti bacio
[scritto trasversalmente su margine]
Per 4 anni ho lavorato tanto, tanto che mi pare impossibile, e a che è servito?
A LUCHINO VISCONTI, 12 OTTOBRE [1952] NOTTE
Mio diletto Luca, perché le persone amate sono sempre così intangibili, e ambigue e straniere? Perché il dolore non si stacca dalla loro figura adorata, che non si osa toccare per paura di smarrirla – e perché a loro non si può dire tutto, [parola illeggibile] spiegarsi fino in fondo? Condanna che non si sconta mai – fino al giorno che non si ama più, e ci si accorge che spiegarsi era così facile, ma non serve più a niente ormai.
Luca Luca mio caro adorato la timidezza e la paura mi legano quando sono con te e tutta la sofferenza che tu m’hai dato fa un muro fra me e te quando ti sono davanti – aiutami anima mia vienimi incontro – se mi vuoi bene, aiutami – Caro anima mia 
A LUCHINO VISCONTI, GENNAIO 1953
Caro Luchino, non so se tu pensi davvero quello che m’hai scritto: cioè che io evidentemente seguo un trattamento. Io non saprei seguire nessun trattamento, nemmeno per le malattie. Per quello che tu dici, poi, mi pare impossibile anche di pensarlo. Non voglio che tu lo creda, e, nel dubbio, pure se tu l’hai scritto solo per gioco, ti rispondo con serietà .
Sarebbe impossibile spiegarti adesso in questa lettera tante cose che non ho mai saputo spiegarti nemmeno con la voce.
Credevo sempre che te le avrei dette e ho rinunciato a dirtele quando ho capito che non t’importava di saperle. Ma mi dispiace perché tu, non sapendole, certo hai potuto considerarmi peggiore di quella che ero.
Ma adesso è inutile parlare di questo. Mi basta solo dirti: la verità  è che al principio di questa estate, mi pare sia stato nel mese di Giugno, io m’ero offesa con te, a un punto tale, che credevo di essere offesa definitivamente. Ma io non posso rimanere molto tempo offesa con te; quando partii, in luglio, non lo ero già  più. E il mio desiderio di rivederti era tornato lo stesso di prima; ma purtroppo m’ero convinta oramai che a te non importava nulla di vedermi.
Ti prego di capire adesso che io qui non parlo davvero di amore. Prima di tutto, devo dirti con molta semplicità  che, nemmeno quando ero più bella, io non sono stata mai amata da nessuno, e quindi non ho mai pensato seriamente che tu potessi amarmi. Certo, siccome io ti amavo molto, c’è stato un tempo in cui desideravo, se tu lo avessi voluto, essere la persona più vicina a te nella vita. Questo non te l’ho mai nascosto, finché era vero. Ma è finito da molto tempo, e cioè, per farti capire da quando, fin dal tempo del mio ritorno dalla Grecia e della Mostra dei Gatti, nel 1951. Anche fuori della tua volontà , ci furono allora delle altre cause per cui io dovetti levarmi dalla mente certe speranze e pensieri. Da principio mi era difficile riuscirci, e forse, per questo, in quel periodo il mio carattere ti sarà  sembrato anche peggiore del solito. Ma alla fine, oramai da più di un anno fa, riuscii a non pensarci più. Se tu mi avessi frequentato di più, in questo periodo, avresti potuto capirlo. Io, a ogni modo, ho cercato di fartelo capire. E anzi, dopo averne sofferto, ero contenta che fra noi non ci fossero più motivi di confusione, e che tu non dovessi più sospettare di me come di una persona che desiderava di entrare nella tua vita e di limitare la tua libertà  in nessun modo. [interrotta]
A PIER PAOLO PASOLINI, GENNAIO 1965
Caro Pier Paolo, avevo appena finito di scrivere, in risposta alla tua lettera, un’altra mia lettera, dove discutevo le tue ragioni con le mie ragioni. Ma adesso, alla fine, sono presa da un impeto d’affetto, che d’un tratto mi fa capire la mia presunzione di ragionare con te su cose che tu sai già  e che, in fondo, non hanno valore a paragone della ragione più forte, e anche più giusta, che è la vita. Tu vuoi salvare il tuo film da tutti questi mostri che te lo minacciano, in qualche modo: cioè dai Farisei, dai poveri, dagli interventi intempestivi di Laura Betti, dai «comportamenti furenti» di G. Morante, magari anche da Carlo Marx e da Gesù in persona, se s’intromettono con le loro giustizie e sapienze. Loro avranno magari le loro ragioni, ma la tua ragione è la vitalità , che vuole diventare questo film. È una ragione simpatica, secondo me, e che pure con gli intervalli di miei «comportamenti furenti» commuove più di tutto e mette allegria….
Avrò altri intervalli di «comportamenti furenti» ma infine, dal fondo della mia vecchiezza che allora sarà  addirittura decrepitezza, ti farò un sorriso per dirti che tu sei sempre una delle pochissime carissime migliori persone del mondo. E adesso per carità , non ritornare sulla tua «patologia di diverso e di reietto». C’è un famoso verso del Sandro Penna che dice: Beato chi è diverso, essendo egli diverso…. Mentre quelli che tu chiami i grandi e i normali, lo sai benissimo che in qualche caso sono degli stronzi – Dio li assista. Ti abbraccio – Sperando di rivedere presto un bellissimo film.
DA TOMMASO LANDOLFI A ELSA MORANTE, 6 DICEMBRE 1957
Cara Elsa, la notte che ebbi la Sua, Le scrissi una lettera selvaggia. Sarà  giusto non averla spedita? Se c’è colpa me ne confesso (mi intenda, non nell’averla scritta: nel non averla spedita); ma in realtà  è soltanto di me stesso che non mi son troppo fidato. Devo invece ringraziarLa in primo luogo della Sua lettera medesima, e poi delle tante buone parole. A Sua volta Lei non può sapere che cosa significa l’attenzione di un’amica intelligente e sensibile per chi (mio Dio, riprendiamo pure le Sue parole) «abbia scelto di vivere isolato». – E spero che ciò sia per incoraggiarLa. Non sia amara: non è in fondo pericoloso interrogare nasi e proboscidi in remoti villaggi cinesi. Più pericoloso è… cara Elsa, mi par proprio d’essere allo stremo delle forze: non per un’arte nella quale non ho saputo fornire che prove mediocri e marginali, ma per una vita anche oscura, anche indegna, com’è la mia. La tentazione si fa sempre più forte. Io passerò l’inverno qui (da buon valetudinario), se mai Le venisse in testa di scrivermi ancora. Le faccio tanti auguri per tutto e Le invio grati ed affettuosi saluti.


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