Hollande sulle spine. La crisi morde ed è «costretto al rigore»

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Conquistato l’Eliseo, il nuovo presidente è stato obbligato a fare marcia indietro e nessuno ha creduto alla favola del «compenso» delle regole del rigore con il modesto Patto di crescita da 120 miliardi. Hollande ha scelto la sua strada: sarà  l’applicazione del rigore di bilancio, per portare i deficit pubblici sotto il 3% già  nel 2013. La «regola aurea» è diventata legge (ma non inserita in Costituzione). Hollande, per sperare di raggiungere l’obiettivo del 3%, ha sottoposto l’economia francese a uno «choc di bilancio»: tasse aumentate di 24 miliardi, tagli alla spesa per 10.
Ma, passato il voto della parte sulle entrate della finanziaria, i problemi restano: ristrutturazioni a valanga nell’industria, eredità  del passato, come ha ingenuamente rivelato l’ex primo ministro Franà§ois Fillon giovedì sera (Sarkozy aveva chiesto a Peugeot di aspettare il dopo-presidenziali per annunciare gli 8mila licenziamenti). Il tessuto economico è degradato: la Francia ha perso 700mila posti di lavoro nell’industria in 10 anni, ha un deficit commerciale di 73 miliardi, di cui l’86,8% negli scambi con i partner europei, non con gli emergenti; con un peso preponderante dell’import di energia (malgrado il nucleare). L’industria contribuisce ormai solo al 12,5% del Pil. Il peso delle esportazioni francesi in dieci anni è calato nel mondo dal 5,7% all’attuale 3,3% (in vent’anni ha perso il 45%) e dal 16,8% al 12,6% nella zona euro.
Di qui la necessità  di altri due «choc»: quello della riforma del mercato del lavoro e quello sulla «competitività » dell’industria francese. Sulla prima stanno negoziando le parti sociali, senza grandi risultati, finora. Sulla competitività  si sta invece impegnando il governo. Il 5 novembre, Jean-Marc Ayrault avrà  sul tavolo il rapporto chiesto alcuni mesi fa a Louis Gallois, ex pdg della Sncf e poi di Eads, considerato un «padrone di sinistra». Secondo indiscrezioni, Gallois proporrebbe uno «choc» di 30 miliardi di fiscalizzazione di oneri sociali (sgravi di contributi per le imprese, recupero del montante nelle tasche dei contribuenti, attraverso la Csg, il Contributo per il rimborso del debito sociale, e l’Iva).
Ma Hollande ha scelto di temporeggiare e di affrontare il recupero di competitività  in tempi più lunghi. Il presidente, crollato nei sondaggi, teme che lo «choc» proposto da Gallois faccia cadere la Francia nella trappola in cui è finita la Spagna di Rajoy, soffocando gli eventuali segni di ripresa, scatenando le rivendicazioni salariali in un clima di rivolta contro la «bastonata fiscale». «Sconsiglio l’idea di uno choc – ha detto – in questo campo non ci sono formule magiche, non c’è una risposta unica».
Il recupero di competitività  si farà  quindi a tappe; non solo sul costo del lavoro, ma tenendo conto di innovazione, immagine dei prodotti, qualità  e tecnologia; altri fattori di competitività  perduta (rispetto alla Germania). A novembre, semplificazione delle procedure e razionalizzazione dei supporti all’innovazione; entro fine anno, primi interventi e, soprattutto, novità  sul «costo del lavoro». I due settori al centro del dispositivo sono l’agroalimentare (dove la Francia ha perso posizioni) e i servizi all’impresa (dove la comparazione con i costi tedeschi è più dolorosa).
L’obiettivo è «restaurare i margini di guadagno» delle imprese. La scommessa è che la «traiettoria di competitività » non soffochi la domanda delle famiglie. Hollande, per paura di un rialzo dei tassi sul debito pubblico, si è legato le mani con il vincolo del 3% e fatica a dare un contenuto all’«austerità  di sinistra», alternativa al pensiero unico dominante. Se mai esiste.


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Con la crisi non sono più solo i giovani con un’adeguta preparazione a cercare lavoro in Europa, ma anche intere famiglie povere e poco istruite. Molti si ritrovano presto a dormire sui marciapiedi.

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