I comunisti cinesi «dimenticano» il compagno Mao

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Se è certo che Xi Jinping assumerà  il ruolo di segretario del Pcc, tutto il resto è imbozzolato in una coltre d’incertezza, compreso il numero dei membri del comitato permanente del Politburo (davvero scendono a 7 da 9 che sono?), compresa la volontà  o meno di imprimere alla Cina una svolta riformista (ma poi: che cosa si intenderà  per «riforme»?). È così che non è passata inosservata l’omissione del «pensiero di Mao Zedong» da un passaggio di un documento del Politburo.
Il testo annuncia l’intenzione di emendare durante il congresso la costituzione del partito. Niente di irrituale. Lo è invece il capoverso che raccomanda «di tenere alta la bandiera del socialismo con caratteristiche cinesi, di farsi guidare dalla teoria di Deng Xiaoping e dall’importante pensiero delle Tre Rappresentanze (la teoria politica dell’ex leader Jiang Zemin, ndr), di continuare a sostenere la Visione scientifica dello Sviluppo», cioè il contributo del segretario uscente Hu Jintao. Non una parola sul marxismo-leninismo né sul «pensiero di Mao», cardine mai apertamente rinnegato dell’apparato ideologico cinese.
Nell’impossibilità  di attribuire l’assenza a un preciso orientamento programmatico, un’interpretazione plausibile suggerisce di guardare più alle stanze del potere attuale e meno ai sistemi filosofici del passato. Potrebbe essere un monito, l’ennesimo, alla sinistra cosiddetta «neomaoista» che ancora piange la defenestrazione politica di Bo Xilai. L’ex sindaco, ex ministro, ex segretario della megalopoli di Chongqing, è stato espulso dal partito e sarà  processato per corruzione e altro. Nelle stesse ore aveva preso a circolare una petizione indirizzata al parlamento (l’Assemblea nazionale del popolo) chiedendo di non privare Bo dell’unica carica che gli è rimasta, quella di deputato ormai senz’appartenenza partitica, e concedergli di difendersi. Un altro lieve smottamento è un articolo pubblicato da un giornale della Scuola centrale del partito che indicava, come esempio utile per la Cina, il caso del Partito d’Azione popolare, formazione che da sempre governa Singapore. Riferimento interessante, perché il Pap controlla per via elettorale la quasi totalità  dei seggi in Parlamento, attuando politiche cui Pechino guarda con interesse e gestendo un potere di fatto autoritario. Anche i vertici militari hanno subito un rimescolamento osservato con minuzia, mentre più facile da leggere risulta la seconda apparizione pubblica recente del grande ex, Jiang Zemin. I capi di oggi e di ieri muovono i pezzi, la scacchiera si estende da Pechino a Shanghai (la vecchia costituency di Jiang) mentre gli aruspici del potere rosso continuano il loro lavoro.


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