I falchi del Nord alla «guerra del trilione»

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BRUXELLES — Nei Palazzi comunitari la chiamano la «guerra del trilione» perché ruota intorno ai contributi dei 27 Paesi membri per il bilancio dell’Unione Europea nel periodo 2014-2020 stimati circa mille miliardi di euro. E a Bruxelles l’uscita del premier britannico David Cameron, sul possibile veto e sul budget separato per l’eurozona, è apparsa strumentale per sostenere nello scontro in atto la linea dei governi orientati a spendere meno per l’Europa. Ma Cameron difende anche il contestatissimo «ribasso» nella contribuzione Ue ottenuto dal Regno Unito dagli anni di Margaret Thatcher. La settimana scorsa il fronte opposto, guidato dalle istituzioni Ue e dai Paesi membri più beneficiati dai fondi comunitari, aveva guadagnato terreno contestando ai governi tagliatori di aver già  provocato l’esaurimento anticipato delle borse di studio 2012 per il programma di corsi all’estero Erasmus, popolarissimo tra i giovani.
La «guerra del trilione» annuncia la prossima battaglia nell’ambito della due giorni di riunioni dei ministri finanziari in programma a Lussemburgo oggi (eurogruppo) e domani (Ecofin). Ma gli interessi economici e politici in ballo sono talmente difficili da comporre che il presidente stabile dell’Ue, il belga Herman Van Rompuy, non mostra aspettative nemmeno per il summit dei capi di Stato e di governo del 18 e 19 ottobre. E ha già  annunciato un vertice straordinario in novembre dedicato specificamente al bilancio 2014-2020.
Il gruppo dei Paesi orientati a ridurre le spese per l’Europa è sostanzialmente quello dei «nordici», che contrasta anche l’aumento degli aiuti agli Stati dell’eurozona in difficoltà  finanziarie. Tra Germania, Regno Unito, Finlandia, Olanda, Svezia e Danimarca circola perfino l’ipotesi estrema di ridurre il bilancio Ue dagli attuali 140 miliardi di euro annui a poco più di un centinaio. La cancelliera tedesca Angela Merkel, in vista delle elezioni nazionali nel 2013, appoggia anche la cancellazione del «ribasso» britannico e sollecita Cameron a pagare la quota Ue come tutti gli altri grandi Paesi già  per il 2014-2020. La Commissione europea e un po’ tutta l’euroburocrazia di Bruxelles rivendicano la necessità  di un trilione di euro abbondante per i sette anni, in modo da garantire «più Europa». Spagna, Portogallo, Grecia e molti Paesi membri dell’Est, gran percettori dei fondi Ue, naturalmente appoggiano la linea degli incrementi.
Francia e Italia fanno parte dei principali «contributori netti» (che pagano per l’Ue più di quanto ricevono con i vari programmi) proprio come Germania e Regno Unito. Ma non pretendono i tagli. Il governo di Parigi deve difendere l’agricoltura nazionale, che subirebbe pesanti contraccolpi da eventuali riduzioni del bilancio Ue. Il governo di Roma sostiene la politica del «più Europa» e chiede di aumentare gli aiuti ai Paesi dell’eurozona con difficoltà  di bilancio.
Oggi nella riunione dei ministri finanziari dell’eurogruppo, a Lussemburgo, si vara il fondo salva Stati proprio come lo vogliono Germania, Finlandia, Olanda e gli altri Paesi contrari a spendere di più. La proposta di elevarlo a mille miliardi di euro (o addirittura a 2 mila), gradita da Italia, Spagna, Francia e dal resto del fronte del Sud, non è passata. Le prospettive finanziarie del bilancio 2014-2020 sembrano così condizionate dall’attuale predominio dei «nordici». Ma la «guerra del trilione» promette di continuare senza esclusione di colpi almeno fino al vertice straordinario dei capi di Stato e di governo in novembre. Con esiti ancora in gran parte imprevedibili.
Ivo Caizzi


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