Il flop dei farmaci no-logo “Sconti e incentivi inutili gli italiani vogliono le griffe”

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ROMA — Il 2013 doveva essere l’anno dei generici per l’Italia. Dopo il provvedimento del ministero della Salute che il giorno di Ferragosto ha imposto ai medici di scrivere il principio attivo del farmaco sulla ricetta ci si aspettava un’impennata delle vendite. E invece adesso, a due mesi da quella legge, c’è chi parla di flop. Lo fa Giorgio Foresti, presidente di Assogenerici: «Le vendite non vanno, gli italiani non li comprano». Le confezioni vendute dei cosiddetti equivalenti sono passate da 5 milioni e 120mila di media mensile a giugno-luglio a 5 milioni e 480 mila di settembre. L’aumento è del 6,9 per cento. Visto che nel nostro paese i generici rappresentavano prima dell’estate circa il 17 per cento del totale dei medicinali venduti in farmacia, ad oggi siamo saliti più o meno al 18 per cento del mercato. Siamo cioè distantissimi dalla media europea, che è del 55 per cento con punte del 65 per cento in Germania e dell’85 per cento nel Regno Unito. «Tra l’altro — dice sempre Foresti — i dati ci raccontano di una buona partenza a fine agosto e di un lieve calo alla fine del mese scorso».
Perché i generici non stanno vendendo quanto ci si aspettava? Intanto il provvedimento del ministro Balduzzi prevede che i medici possano continuare a prescrivere il farmaco di marca a brevetto scaduto ai pazienti cronici che lo usavano, o se motivano in ricetta la loro scelta. Inizialmente poi la nuova legge aveva fatto polemizzare i medici di famiglia e non è escluso che qualcuno continui a segnare il prodotto con il “brand” per protesta. C’è poi il ruolo dei pazienti. In molti continuano a preferire i farmaci di marca e li chiedono al farmacista, cosa permessa dalla legge. C’è ad esempio tra gli anziani chi prende più medicinali al giorno e non se la sente di farsi consegnare pillole di forma e colore diverso rispetto a quelle a cui è abituato. Ha paura di fare confusione. Così paga la differenza tra la cifra rimborsata dallo Stato, che equivale al prezzo del generico, e il costo del farmaco di marca.
Chi produce gli equivalenti vede grigio, mentre le aziende farmaceutiche dei medicinali “griffati” dicono di vedere nero. «Il provvedimento ci ha messo in crisi», spie-
ga il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi. Ma se i generici vendono circa il 7 per cento in più, in realtà  hanno solo un quarto del mercato dei medicinali a brevetto scaduto. I brand ne hanno tre quarti e il loro calo dovrebbe attestarsi quindi intorno al 2-3 per cento. Cioè essere molto ridotto. «I dati mostrano che per alcune classi di medicinali come gli antibiotici — precisa Scaccabarozzi — ci sono cali molto più accentuati. Abbiamo poi singoli prodotti che, ci segnalano le aziende, che scendono anche del 30-40 per cento». Gli antibiotici di marca, per esempio, sono passati, tra giugno-luglio e settembre, dal 76 al 64 per cento del mercato. Hanno tenuto gli anti-ulcera, passati da 54 a 51 per cento. «Non siamo contrari ai generici — prosegue il presidente di Farmindustria — ma già  prima di questo provvedimento il cittadino poteva sceglierli in farmacia. Oltre a questa legge, che ci penalizza, in sei mesi il nostro settore ha subito tre manovre, come quella sull’abbassamento dei tetti di spesa, che ci mettono in difficoltà  gravissime. Ci saranno 10-15 mila licenziamenti in due-tre anni». Menarini, una delle multinazionali italiane, nei giorni scorsi ha detto che per colpa del generico licenzierà  1.000 dipendenti in Italia su oltre 3 mila. «Non è vero che stanno perdendo tantissimo con i generici — contesta Foresti — In tutta Europa, e già  anni fa, c’è stato il fenomeno dell’introduzione degli equivalenti e nessuna azienda ha chiuso. Semmai è un problema di politiche industriali. Si sa che i brevetti scadono dopo 25 anni e che quando questo avviene le aziende guadagnano meno. Se ci si prepara a quell’appuntamento puntando su ricerca e sviluppo si ha modo di mettere in commercio prodotti nuovi: chi investe in innovazione si salva dalla crisi».


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