Il Parlamento turco dà  via libera a un intervento militare in Siria

by Sergio Segio | 5 Ottobre 2012 7:03

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Con il passare delle ore paiono placarsi i venti di guerra tra Ankara e Damasco soffiati per qualche ora impetuosi l’altro ieri sera, dopo che alcuni colpi di mortaio sparati dalla Siria avevano ucciso cinque civili nella cittadina frontaliera turca di Akcakale, provocando la reazione delle artiglierie turche. Per tutta la notte e sino alle 8 (ora italiana) di ieri mattina i cannoni turchi hanno sporadicamente colpito alcune postazioni militari siriane presso la cittadina di Tel Abiyad (solo pochi chilometri da Akcakale, oltre la linea di confine). Le organizzazioni legate ai ribelli siriani segnalano «diversi morti» tra i soldati lealisti, ma ciò non è confermato dai portavoce ufficiali di Damasco.
Dato più drammatico è invece la decisione del parlamento di Ankara (approvata con 320 voti contro 129) di permettere azioni militari contro la Siria, se richiesto dal governo, per un periodo di almeno un anno. Una mossa senza precedenti. In giugno era stata presa in considerazione, dopo che l’antiaerea siriana aveva abbattuto un caccia turco sul limite delle proprie acque territoriali al largo di Latakia. Ma i veloci contatti tra le due capitali avevano impedito che la cosa degenerasse. Quest’ennesima crisi negli ormai difficilissimi rapporti tra i due Paesi, via via peggiorati negli ultimi 18 mesi scanditi dalle rivolte popolari contro la dittatura di Assad, è stata invece parzialmente disinnescata quando, attraverso i propri rappresentanti alle Nazioni Unite, il regime siriano ha presentato le scuse e promesso che «la cosa non si ripeterà  più». In serata il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha comunque condannato all’unanimità  «nei termini più forti» la Siria, ingiungendole di «non ripetere in futuro simili violazioni del diritto internazionale». In ogni caso, sono stati rafforzati i contingenti militari turchi lungo il confine. E il vice premier Besir Atalay ha spiegato che queste sono misure precauzionali, un deterrente, non un mandato per la guerra aperta. «Non abbiamo alcun interesse a un conflitto con la Siria. Ma occorre sapere che siamo pronti a difendere il nostro territorio nazionale», ha detto. Parole confermate più tardi dallo stesso premier Erdogan.
Pure, l’intera regione frontaliera resta in subbuglio. Sin dalla fine di luglio le brigate rivoluzionarie sono via via riuscite a controllare larghe zone a ridosso del confine. L’esercito lealista vi opera ora per lo più solo tramite l’aviazione e pochi avamposti asserragliati in un territorio ostile. Nelle ultime due settimane anche gli alti comandi del Nuovo esercito siriano libero, composto in maggioranza da disertori tra le truppe di Assad, ha abbandonato le proprie basi in Turchia per trasferirsi nelle zone liberate. E ancora qui i medici siriani passati tra i ranghi della rivoluzione intendono allestire almeno cinque ospedali per le vittime della sanguinosa repressione lealista. La sera dell’11 settembre il Corriere della Sera ha assistito alla riunione di una trentina di dottori in un ristorante di Antakia che mettevano a punto i dettagli tecnici del loro trasferimento nei nuovi posti di attività . Tra le maggiori preoccupazioni c’era quella di essere il più possibile in prossimità  del confine internazionale: unica via di fuga in caso di attacco massiccio dei lealisti. A sua volta il governo turco sta subendo con crescente preoccupazione le conseguenze delle ondate di profughi dalle zone devastate dalla repressione di Assad, che sempre più numerose cercano di passare il confine. Si calcola che il loro numero stia ora avvicinandosi a quota 150.000.
Sono quasi tutti sunniti, i quali a loro volta causano gravi contrasti con le popolazioni alauite turche concentrate nella zona di Antakia e in genere simpatizzanti con il regime siriano. Si spiega così la scelta governativa di trasferirli tutti in nuovi campi profughi allestiti nelle ultime settimane sugli altopiani anatolici, a oltre 200 chilometri dal confine. Ma il problema più grave per Ankara restano i curdi legati alla guerriglia indipendentista del Pkk. Ne parlò a lungo a fine agosto ad Ankara il capo dei servizi di sicurezza nazionali, Hakan Fidan, con il massimo responsabile della Cia, David Petraeus, ben consapevole che il tema coinvolge anche Iraq e Iran. Si calcola che dagli anni Ottanta la guerra tra Pkk e governo centrale abbia causato oltre 40.000 morti. Dopo un lungo periodo di calma, lo scontro ha da un anno ripreso d’intensità . Responsabile soprattutto il governo Assad, che garantisce alle milizie del Pkk in Siria di operare liberamente lungo il confine nordorientale. Non è da escludere che ora Ankara possa utilizzare la nuova decisione del parlamento per lanciare massicci attacchi anche contro i curdi siriani.

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