Il voltafaccia delle banche Usa Goldman Sachs sceglie Romney

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NEW YORK — Dietro la spettacolare rimonta di Mitt Romney nei sondaggi (perfino un sorpasso sul presidente secondo l’autorevole Pew Research Center) non c’è solo la disastrosa prestazione di Barack Obama nel duello tv di una settimana fa. C’è anche lo zampino dei poteri forti della finanza. Un nome in particolare, il più noto, il più temuto: Goldman Sachs. Lo sostiene in prima pagina nientemeno che il Wall Street Journal, il quotidiano più vicino ai mercati finanziari, quindi il più restìo ad abbracciare dietrologie e teorie del complotto. È proprio il Wall Street Journal a dedicare un’inchiesta al ruolo di Goldman Sachs in questa elezione. Con una conclusione lapidaria: «Nessun’altra grande impresa americana sta facendo di più per sconfiggere Obama». Non c’è mistero sul movente: «I dirigenti della banca sono diventati la principale fonte di finanziamento di Romney e del partito repubblicano, per reagire agli attacchi personali e all’imposizione di nuove regole sul loro business». Le cifre sono incontestabili: l’inchiesta del Wall Street Journal attinge a dati raccolti dal Center for Responsive Policy, un istituto indipendente che rileva i finanziamenti elettorali. Quattro anni fa dalla Goldman Sachs affluì un milione di dollari per sostenere la campagna elettorale di Obama. Quest’anno solo 136.000 dollari. Mentre a Romney sono stati versati complessivamente 1,8 milioni. «Nei quarant’anni di vita dell’attuale sistema di finanziamenti elettorali, mai si era verificato un capovolgimento così brutale», osserva l’indagine.
La Goldman Sachs era sempre stata un “covo di democratici”, al punto che i suoi dipendenti per 23 anni consecutivi furono la principale fonte di finanziamento del partito di Bill Clinton. Ma nella crisi del 2008 il ruolo politico di questa banca fu messo sotto accusa. Venne coniato il termine Government Sachs, per sottolineare che ben due ministri del Tesoro in due Amministrazioni diverse venivano dalla stessa banca: Robert Rubin sotto Clinton e Henry Paulson con George W. Bush. Nel nuovo clima politico, che avrebbe partorito il movimento Occupy Wall Street, Obama prese una decisione gravida di conseguenze: quella di non consultare neppure i vertici di Goldman Sachs, prima di varare la sua riforma dei mercati. In quella riforma c’è un punto in particolare che la Goldman Sachs considera lesivo dei suoi interessi: è la regola ispirata dall’ex banchiere centrale Paul Volcker, destinata a vietare che le banche facciano investimenti speculativi coi mezzi propri. Da questo genere di operazioni Goldman Sachs ricava il 10% dei suoi utili.
Il voltafaccia di Goldman Sachs è la punta dell’iceberg di un fenomeno più generale. Lo stesso cambiamento è avvenuto in altre quattro banche, sia pure meno “generose” di Goldman: sono JP Morgan Chase, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley. Tutti i big di Wall Street sono allineati: Obama se ne deve andare. Le cinque banche assieme hanno donato 3,3 milioni per la vittoria di Romney, mentre nel 2008 avevano puntato 3,5 milioni sul candidato democratico. All’attuale presidente sono state fatali anche alcune battute considerate offensive, come l’appellativo “fat cats” (gatti grassi) con cui schernì i banchieri. In quanto a Romney, un uomo si è distinto come il suo ufficiale di collegamento: è Jim Donovan. Oggi lui amministra il patrimonio personale del candidato repubblicano, un tempo lavorava da Goldman per tenere i rapporti con Bain Capital, la società  di private equity fondata dallo stesso Romney.


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