Intervista a Susanna Camusso: «C’è una sola priorità : il lavoro»

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Niente politica industriale, disattenzione alle emergenze del lavoro, zero investimenti, crescita pericolosa delle diseguaglianze. Questo autunno propone un’Italia in piena emergenza economica e sociale, una situazione che viene fronteggiata dal governo con politiche inadeguate, insufficienti. Per questo Susanna Camusso chiama la Cgil a una nuova stagione di mobilitazione e di impegno. A partire dalla giornata del 20 ottobre, in piazza San Giovanni a Roma, la piazza delle grandi sfide sindacali. Spiega: «Chiediamo al governo scelte chiare di politica industriale, difesa degli insediamenti produttivi, detassazione delle tredicesime, sostegno ai lavoratori esodati, ai dipendenti delle aziende in difficoltà . C‘è bisogno di una svolta profonda di politica economica perchè il Paese non ce la fa». Segretario Camusso, qual è la situazione del lavoro e dell’industria?
«Assistiamo con enorme preoccupazione alla scomparsa di pezzi importanti del tessuto industriale. Siderurgia, auto, alluminio, distribuzione sono settori a rischio. Siamo un Paese che non investe. Per richiamare l’attenzione i lavoratori devono mettere in pericolo la propria vita salendo sui tetti, sulle torri, sui campanili. Il governo e il Paese forse non comprendono pienamente la gravità  e i rischi di questo momento. L’occupazione e la difesa della nostra industria sono priorità  assolute».
L’azione del governo Monti non la soddisfa?
«No, e non una questione personale. Non soddisfa il Paese. Dobbiamo fare uno sforzo comune, forte per aiutare chi perde il posto, chi vede la chiusura della propria azienda, chi cerca di salvare un pezzo di produzione. C’è una distanza enorme tra le condizioni reali di vita dei cittadini e le azioni del governo. C’è un’Italia insicura, impaurita che va aiutata, dobbiamo ricostruire un clima di fiducia, di speranza tra le persone».
Cosa chiede alla politica?
«Mi piacerebbe che la politica parlasse al Paese, dei problemi della gente, anzichè concentrarsi su se stessa, su formule ed equilibri spesso incomprensibili. Sarebbe necessaria in questo momento una proposta forte, radicale, di autoriforma della politica in grado di riconquistare il consenso dei cittadini, di rafforzare la base democratica. Tocca ai partiti formulare proposte chiare per battere le diseguaglianze crescenti, per migliorare le condizioni di vita di chi sta peggio, per garantire reddito, lavoro, pensioni, occupazione ai giovani e alle donne».
Monti sostiene che la differenza non è più tra destra e sinistra, ma tra chi paga le tasse e chi evade. È d’accordo?
«No. È una semplificazione che non va bene. L’evasione fiscale è stata una scelta politica di destra, di Berlusconi. È la destra che ha favorito i condoni, i capitali scudati, i furbetti del fisco. Si può criticare la politica, ma la politica non è tutta uguale».
Il governo ha ventilato l’ipotesi di una riduzione del carico fiscale, Squinzi dice che di troppe tasse si muore…
«Il governo ha offerto un messaggio contraddittorio sulle tasse. Ha aperto uno spiraglio e poi ha fatto marcia indietro. A Squinzi vorrei dire che di troppa diseguaglianza fiscale si muore. Sono i lavoratori dipendenti, i pensionati che pagano troppe tasse. Sono i redditi delle persone fisiche gravati da un carico eccessivo, non sono certo le rendite ad essere penalizzate. Questa ingiustizia peggiora la recessione e favorisce i privilegiati che fuggono dal fisco».
Cosa si attende dal Pd?
«Una proposta per un’Italia diversa. Il Pd ha la grande responsabilità  di guidare la svolta di governo. È un impegno gravoso, ma stimolante. Metta al centro della sua politica il lavoro, i diritti, il welfare, la politica industriale, un modello di equaglianza sociale, tiri fuori il Paese da questo disastro combinato dai liberisti».
Qual è una politica alternativa?
«Una piattaforma socialdemocratica per il welfare, la civiltà  del lavoro, la costruzione di un modello più giusto di società  per rimettere insieme il Paese, per attutire i danni combinati dalla destra che ha lavorato per dividere i citta-
dini. Dobbiamo riflettere sul fatto che cresce non solo la disoccupazione, ma anche il lavoro povero e chi è occupato spesso non ce la fa. C’è un deterioramento pericoloso del tessuto sociale, anche di quei soggetti che definiamo garantiti.L’Italia ha bisogno di una svolta perchè dopo quattro anni di crisi e due di sacrifici pesantissimi siamo ancora in mezzo al guado»
Il sindacato cosa può offrire in questo percorso?
«Il sindacato ha i suoi problemi, le divisioni non aiutano, nè aiuta l’ eccesso di esposizione di alcune parti verso schieramenti politici. Ma il sindacato ha fatto la sua parte nella crisi, ha gestito vertenze, ristrutturazioni, accordi, confrontandosi con forti innovazioni. Continueremo in questa direzione, ma nessuno può pensare di ridurre il potere di contrattazione dei lavoratori, nè di continuare a discriminare i giovani, le donne, i soggetti più deboli».
La Cgil cosa si propone con l’iniziativa del 20 ottobre?
«È l’inizio di un percorso. Vogliamo cambiare passo, pressare questo governo di congiuntura. La Cgil è ben consapevole che il movimento sindacale deve uscire dalla difensiva. Prepariamo alla conferenza di programma per lanciare un Piano del lavoro, che parli di welfare e di ambiente come sviluppo, di innovazione e ricerca, di contrattazione sull’organizzazione e sui modelli di partecipazione del lavoro. Se saremo uniti sarà  più facile».
C’è un gruppo di liberisti che lancia il manifesto “Fermiamo il declino”. La Cgil partava di declino 10 anni fa…
«…E tutti ci accusavano di essere disfattisti, cassandre, portatori di sciagure. Nel 2004 la Cgil fece uno sciopero generale per fermare il declino e alcuni dei firmatari di questo manifesto liberista ci definivano statalisti, nazionalisti. Noi abbiamo tanti difetti, ma siamo vicino alla gente e capiamo i problemi. I liberisti si devono rassegnare: la crisi è figlia delle loro idee, è ora di cambiare».


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