La mina di Cameron sul budget Ue «Pronti a mettere il veto»
LONDRA — Sul budget dell’Europa, sulle restrizioni all’immigrazione dai Paesi Ue e sulle tasse (no alla patrimoniale sulla casa) il premier Cameron alza la voce. Il suo indice di popolarità resta piuttosto alto: dopotutto qualsiasi sondaggio rivela che il gradimento personale di cui gode è superiore a quello dei conservatori, i quali, se si votasse oggi, sarebbero una decina di punti sotto i laburisti. E la maggioranza degli elettori lo vede ancora come il più affidabile a governare l’economia fra i tre leader maggiori. Ben sopra l’alleato liberaldemocratico Nick Clegg. E avanti a Ed Miliband che per guadagnare consensi e credibilità al centro ha sposato la vecchia parola d’ordine della «one nation policy» (poveri e ricchi uniti nella condivisione di valori, di sacrifici e di successi) cara a Benjamin Disraeli, una delle figure storiche dei tory. Ma, nonostante riesca in un periodo così duro a mantenere una sua discreta immagine politica a livello popolare, David Cameron ha davanti a sé un cammino difficile.
Il patto coi libdem traballa (tanto che l’ipotesi di elezioni anticipate al 2014 è sempre più concreta), gli scandali hanno portato nubi su Downing Street e sull’esecutivo (dal caso Murdoch ai generosi contributi, sotto forma di cene e di incontri riservati a pagamento, concessi da facoltosi rappresentanti del mondo degli affari ai conservatori), infine il partito è ben lungi dall’essere una corazzata compatta a sostegno dell’azione del primo ministro. La componente più di destra, guidata dall’ex ministro della Difesa Liam Fox e dal ministro dell’Educazione Michael Gove, gli rimprovera troppe concessioni agli alleati liberaldemocratici e invoca un ritorno agli antichi bastioni del conservatorismo (meno imposte, meno regole, rottura con l’Europa). Infine c’è l’ombra minacciosa del sindaco di Londra Boris Johnson che un giorno sì e un giorno no fa trapelare la sua intenzione di dare l’assalto alla leadership tory.
Sono tante, dunque, le ragioni che spingono il premier britannico a dare segnali di presenza e di iniziativa. Con un diluvio di interviste a giornali e televisioni (Bbc) nel primo giorno del congresso conservatore a Birmingham, David Cameron alza alcuni paletti fondamentali. Comincia dall’Europa, toccando due punti: il budget e il mercato del lavoro. Sul primo si mette di traverso a Bruxelles e sostiene che occorre separare il bilancio dei Paesi dell’area euro da quello dei Paesi che ne sono fuori, quindi minaccia di riproporre il veto di Londra nelle negoziazioni per i contributi del periodo 2014-2020. «Sanno che sono capace di dire no e se non otterrò un buon accordo ripeterò il mio no». Per Cameron le relazioni fra Londra e l’Europa vanno riformulate e poi sottoposte a referendum dopo il 2015: non un referendum sul sì o il no all’Europa ma un referendum sui contenuti delle intese per tracciare «linee chiare e nuove dei nostri reciproci rapporti».
Ancora più duro è sul lavoro: qui prospetta l’ipotesi che il Foreign Office possa regolamentare in modo restrittivo i visti ai «migranti da certi Paesi europei». Due settimane fa, spiega Cameron, «ho visitato due fabbriche e ho chiesto: Quanti lavoratori avete da altri Paesi della Ue? In un caso il 60 per cento, nell’altro il 50. Avendo noi tanti disoccupati britannici è chiaro che li vogliamo formare e impiegare». Di conseguenza, «pur essendo a favore del mercato unico europeo», qualche freno, per Cameron, è giusto imporlo.
Ma per rassicurare la destra tory non basta toccare il tasto sensibile dell’Europa, è necessario prendere di petto anche il tema sacro delle tasse. I liberaldemocratici, gli alleati, insistono sulla patrimoniale per la casa e sulla imposta per i redditi alti (sopra le 150 mila sterline annue). Cameron con una mano offre il ramoscello d’ulivo: «I benestanti dovranno pagare di più». Ma, al tempo stesso, esclude con vigore l’inasprimento sugli immobili e difende il prossimo adeguamento dell’aliquota massima sui redditi dal 50 al 45 per cento. Se riuscirà a trovare un’intesa coi libdem sarà un miracolo. O lui o Clegg dovranno rimangiarsi le promesse ai rispettivi congressi.
Fabio Cavalera
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