La nave pacifista Estelle verso le coste di Gaza

by Sergio Segio | 20 Ottobre 2012 16:49

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È previsto nelle prossime ore l’arrivo della nave pacifista svedese Estelle, ossia l’ultima missione della Freedom Flotilla3 volta a rompere il blocco navale di Gaza attuato da Israele. Tuttavia le possibilità  che l’imbarcazione, un veliero con a bordo una ventina di passeggeri (incluso un italiano) e aiuti per la popolazione palestinese, riesca a raggiungere il porto di Gaza city sono scarse. Israele non ha fatto mistero di voler fermare, anche con la forza, la nave del movimento internazionale che si batte per porre fine al blocco della Striscia e che lo scorso 6 ottobre ha lasciato Napoli, dopo tre giorni di iniziative a favore della popolazione di Gaza, alle quali ha partecipato anche il sindaco Luigi De Magistris.
Qualche giorno fa, con una lettera inviata al Segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon, Israele ha chiesto che le Nazioni Unite intervengano per la navigazione della Estelle, altrimenti, ha avvertito, passerà  all’azione, come avvenuto negli anni passati in altre missioni della Freedom Flotilla. È ancora vivo il ricordo dell’incursione di commando israeliani sul traghetto turco Mavi Marmara, alla fine di maggio del 2010, sfociata nell’uccisione di nove passeggeri. «È la Siria ad aver bisogno di aiuti», ha scritto nella lettera l’ambasciatore israeliano Dan Prosor all’Onu definendo la Estelle una «provocazione». «Voglio sottolineare – ha affermato Prosor – che Israele non vuole un confronto ma è determinata a far bloccare la nave».

Ebrei contro l’occupazione a bordo
È ampio il sostegno a questa nuova missione della Freedom Flotilla. In Italia ha raccolto l’appoggio di decine di associazioni e organizzazioni e anche quello di 12 fra deputati e senatori (dell’Idv e del Pd) che hanno sottoscritto (insieme a decine di altri parlamentari europei) l’appello internazionale «Fine del blocco di Gaza subito!». Ben diverso è l’atteggiamento della Farnesina che, rispondendo alla comunicazione che a bordo di Estelle si trova anche il cittadino italiano Marco Ramazzotti Stockel, ha fatto sapere che «sconsiglia» di recarsi a Gaza a causa degli «obiettivi rischi che i nostri connazionali potrebbero correre nel caso intendano recarsi via mare verso tale area», ricordando che «l’ingresso via mare nella Striscia comporta, come noto, una violazione della vigente normativa israeliana». La «normativa», ossia il blocco navale, è quella di una potenza occupante ma questo «particolare» appare del tutto irrilevante al nostro ministero degli esteri.
Marco Ramazzotti Stockel è un ebreo. «Non dimenticate di scrivere Stockel quando riportate il mio nome – dice l’attivista imbarcato sulla Estelle – così capiscono che sono ebreo e che se lotto contro l’occupazione è proprio per gli ebrei, è a loro che fa male, oltre che ai palestinesi, l’occupazione». Con un passato politico nel Pci e nella Cgil, iscritto a ECO-Ebrei contro l’Occupazione, laureato in Diritto internazionale, Ramazzotti Stockel ha già  partecipato alla Freedom Flotilla lo scorso anno. «È un sogno quello di andare a Gaza per testimoniare da ebreo che siamo fratelli e che Israele deve trovare altre politiche che non siano quelle militaristiche per risolvere il contenzioso tra i due popoli», spiega l’attivista.
Sul terreno però le cose vanno nella direzione opposta da quella auspicata da Marco Ramazzotti Stockel. Chi vive a Gaza deve pagare ogni giorno un conto altissimo, specie se è un giovane. È notizia di questa settimana la decisione degli Stati Uniti di sospendere, di fatto su pressione di Israele, 30 borse di studio per studenti meritevoli della Striscia. Si tratta di un progetto lanciato due anni fa, dallo stesso Segretario di stato Hillary Clinton. Prevede che gli studenti di Gaza vadano nelle meglio attrezzate università  della Cisgiordania. Secondo Israele invece gli atenei palestinesi sarebbero luoghi usati da Hamas per trovare nuovi seguaci. «Hamas lavora molto sulla ricerca di nuovo affiliati all’infrastruttura terroristica da Gaza alla Cisgiordania – ha detto Guy Inbar, portavoce dell’esercito – e sul trasferimento di conoscenze per rafforzare la struttura in Cisgiordania». Gli studenti di Gaza perciò non saranno autorizzati ad andare in Cisgiordania e gli Stati Uniti hanno subito abbozzato: le 30 borse di studio sono state date ad altri. Una notizia che si abbina ad documento del 2008 reso noto, grazie a una petizione dell’associazione israeliana per i diritti umani «Gisha», che descrive come i vertici del ministero della difesa dello Stato ebraico avessero fissato in 2.279 le calorie al giorno che poteva ricevere un abitante della Striscia: un numero di calorie che evitava critiche internazionali e teneva allo stesso tempo sotto pressione la popolazione civile. In tutto 107 camion di aiuti al giorno, cinque giorni alla settimana, per rifornire quel milione e mezzo di persone di palestinesi che vive nella prigione più grande del mondo.

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